“Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò nel loro cuore” (Ger. 31.33).
Dopo il lungo discorso che Gesù tiene a Cafarnao sul “pane di vita” (Gv. 6), la liturgia del tempo ordinario ritorna a presentare i vangeli di Marco, al capitolo 7 (Mc 7,1-8.14-15.21-23).
Una provocazione sul tema della Legge quello proposto per la XXII domenica dell’anno B, in cui Gesù invita ogni credente a purificarsi dall’ipocrisia del legalismo e dal ritualismo sterile per una vera fede che scaturisce dal cuore e che diventa attraente, testimonianza vivente. Una duplice riflessione può scaturire da questo brano.
“Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me” (v. 6): Gesù riprende la citazione del profeta Isaia per focalizzare l’attenzione su un concetto chiave, quello del cuore.
Nella Sacra Scrittura, il cuore è il centro della stessa vita umana, dei pensieri, delle emozioni, dell’interezza della persona. “Dio può essere trovato nel cuore dell’uomo” (San Gregorio di Nissa, Om. 42): il cuore è l’essenza più vera e autentica di ogni persona, nuda e cruda, quella più profonda.
Riprendendo un testo di un Padre del deserto “Abba Antonio disse: chi dimora nel deserto è liberato da tre guerre: quella dell’udito, quella della lingua e quella degli occhi. Gliene resta una sola: quella del cuore”. La sfida verso una limpidezza che profuma di cielo è la lotta del quotidiano, nelle relazioni di ogni giorno lungo il cammino della vita.
“Siete veramente abili” (v. 9): il Signore chiama ognuno ad una abilità nuova, quella del coraggio della verità. Proprio soffermandosi sulla parola coraggio è un termine composto e ci rimanda al suo significato latino di cor (cuore) habere (avere) o cor agere (agire col cuore). Per essere coraggiosi occorre avere un cuore che “spinge” all’azione, capace di generare gesti e scelte che mettono in gioco per raggiungere “un di più” nella vita, aprendosi alla missione, in un’urgenza già delineata da San Giovanni Paolo II, quella “di rifare il tessuto cristiano della società umana” (Christifideles laici, n 34).
Mc 7,1-8.14-15.21-23
In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme.
Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?».
Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».
Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro.
Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». E diceva [ai suoi discepoli]: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».