Dalle auto ai trattori, dall’industria all’agricoltura c’è molta confusione e incertezza nel cielo tempestoso della politica italiana. Sulle agevolazioni fiscali agli agricoltori è andata in scena (anche a Sanremo) una competizione aperta tra Lega e Fratelli d’Italia, con gli occhi puntati sul voto europeo del 9 giugno, con il ministro dell’Economia Giorgetti costretto a cambiare la legge finanziaria 2024, appena approvata, con un emendamento di tregua tra la Meloni e Salvini.
Clima non migliore per la crisi dell’auto italiana, dopo la dura minaccia di Tavares, numero uno del gruppo Stellantis, di abbandonare gli stabilimenti di Mirafiori e Pomigliano. La risposta del ministro delle Imprese Urso è stata ferma: lo Stato entri nel pacchetto azionario di Stellantis (ex-Fiat) come ha fatto il Governo francese, a tutela delle fabbriche italiane; l’opposizione, per una volta unita, ha condiviso la proposta ministeriale, con Schlein e Conte. Ma l’iniziativa non ha avuto seguito, mentre è esplosa – puntuale – l’opposizione del vice-premier Salvini.
La proposta Urso non nasce dal nulla: da mesi se ne parla, anche per le voci crescenti di una possibile fusione tra Stellantis e Renault, entrambi aziende a partecipazione pubblica francese; in tale ipotesi l’incidenza italiana (famiglia Agnelli-Elkann) sarebbe ridotta ai minimi termini. Il costo per lo Stato sarebbe sui 4-5 miliardi, fatta salva una disponibilità a prezzi politici degli azionisti ex Fiat (ma il presidente di Exor John Elkann si è detto contrario alla presenza pubblica, senza peraltro indicare un piano di investimenti in dissenso da Tavares).
È in discussione il futuro dell’auto italiana, oltre che di migliaia e migliaia di posti di lavoro: l’obiettivo minimo di un milione di vetture l’anno è lontano dall’essere raggiunto, con una situazione sempre più critica a Mirafiori. È una scelta politica meditata “trovare” 12 miliardi per il ponte sullo Stretto e contestualmente continuare a rinviare le scelte industriali? O si deve attendere, anche per l’auto, il voto europeo? Peraltro, con le spinte nazionaliste in atto, con Marine Le Pen primo partito, non è pensabile che il governo di Parigi cambi la linea Tavares, sinora mai contestata dai due principali azionisti, la famiglia Peugeot e il Gruppo Exor.
Congelata o tramontata la proposta Urso, si parla di un nuovo tavolo di trattativa Governo-Impresa-Sindacati, mentre a Mirafiori è scattata una nuova cassa-integrazione per quasi due mesi, con il chiaro obiettivo dell’azienda di far pesare le sue scelte: in trent’anni la produzione nello stabilimento-simbolo di Torino è scesa al 5 per cento (come l’occupazione). Gli studi di Bankitalia hanno puntualmente registrato, nei primi vent’anni del nuovo millennio, una crescita sotto-zero dell’area metropolitana, mentre altre città del Nord, da Milano a Venezia, hanno registrato uno sviluppo del 17%. Per il Piemonte e per l’intero Paese è il momento di passare dalle parole ai fatti, con precise scelte di politica industriale, superando la strategia del giorno per giorno.
La crisi delle fabbriche meriterebbe quell’intesa bi-partisan auspicata dal Presidente Mattarella in molti messaggi sul “bene” del Paese, mentre ai grandi azionisti va ricordata la dimensione sociale delle imprese, i cui profitti sono il risultato di molti “lavori”, di imprenditori, ricercatori, tecnici, operai, impiegati… e anche ai sindacati va richiesta una effettiva unità, per la gravità del momento.
Torino, nella sua storia centenaria, ha visto molti mutamenti epocali, a cominciare dalla perdita della Capitale; oggi, nell’era del capitalismo mondiale, vive un’altra sfida, non meno rilevante sul piano politico, economico, sociale.
Per questo il tempo dei rinvii, delle polemiche artificiose, della propaganda volge al termine: il mondo subalpino ha il diritto di conoscere il destino dell’auto e di Mirafiori, senza ulteriori ritardi; ma il Paese, tutto, da nord a sud, deve chiedersi se la modernità è affrontabile senza un’adeguata politica industriale. In altre parole: il destino di Mirafiori non riguarda solo il Piemonte, la crescita dell’industria dell’auto ha infatti toccato tutti, dal sud al Veneto.
La Meloni, Urso, Conte, Schlein… sono chiamati a una risposta urgente e “nazionale” mentre il Gruppo Stellantis deve interrogarsi sulle origini del suo patrimonio “europeo”.