La grama esistenza dell’invalidato, raggiunge il suo culmine con le notti fredde e le temperature intorno allo zero termico alle prime luci del mattino.

Con l’alluce del piede sinistro ancora steccato, mi trascino penosamente nel cortile brinato, intabarrato come un reduce della campagna di Russia del 1812 ferito da un attacco cosacco. Verso il mangime nella ciotola delle galline, mentre l’acqua è gelata e devo martellare lo strato di ghiaccio per aggiungerne un po’ allo stato liquido. Ciò mi fa rammentare che è ormai tempo di chiudere i rubinetti esterni per evitare i guai del ghiaccio nelle tubature.

Ritornato faticosamente al caldo e non senza aver lottato duramente con la Penny-cane per conquistarmi un minimo spazio vitale sul divano preferito da entrambi, consulto il dizionario Treccani: il mio dito è un sostantivo maschile che arriva dal latino dĭgĭtus e che cambia genere al plurale: infatti si dice “le dita” al femminile. Poi scopro che il plurale può cambiare di nuovo genere e diventa maschile: “i diti, se considerati separatamente”, c’è scritto. Ma se li considero separatamente non sono le dita? O il dito? Boh. Misteri della grammatica.

Poiché di dita rotte ne ho due posso dire: “Ho due dita rotte” oppure “Ho due diti rotti?”. Con questo tragico dilemma scorro ancora la voce che si sofferma sulla denominazione delle dita (o dei diti?) e indugio sul nome: “alluce o dito grosso”. Mi assale l’inquietudine quando leggo ancora che: “Le dita risultano tutte (ad eccezione del pollice e dell’alluce che sono costituiti da due pezzi ossei) di tre ossa, tra loro articolate”.

Riflettendo su questa notiziona vado ad attizzare la stufa, mentre finalmente un po’ di sole entra dalla finestra. Sento un mezzo che si ferma davanti al cancello; la Penny-cane scatta in modalità “allerta intrusione”, poi con un balzo abbaia verso la porta. Il postino al cancello è appena ripartito che vedo un baluginare bianco nella buca delle lettere. Sarà la solita bolletta o un sollecito di pagamento? Inutile sperare in qualcosa di più gradevole: ormai via posta non arriva più nulla, nemmeno una cartolina della zia da Laigueglia o gli auguri dai cugini che abitano a Casale Monferrato. Lo smartphone, coi suoi annessi e connessi, ha ammazzato la cartolina!

Con questi pensieri mi trascino al cancello e apro la cassetta. È una lettera, senza mittente. La apro: il mio ex vicino! Lo riconosco dai ritagli di giornale che usa per comporre le sue frasi sconsiderate. Capisco che mi ha osservato durante l’incidente, descrive esattamente la scena di quando sono salito in ciabatte sullo scalottino con i forbicioni, il momento in cui questi ultimi mi scivolano e mi piombano sulle dita (o sui diti?) del piede. La sua missiva si chiude con una triste verità: “L’orto rende l’uomo morto”.08