Mentre sale la temperatura ad est con i disordini serbi in Kosovo, mi sono recato nel Carso sloveno. Laggiù, in questi giorni, in molti paesini svetta ancora il “mlaj” della festa del 1° maggio: un albero di abete o betulla a cui vengono tagliati tutti i rami tranne quelli sulla cima, che viene poi decorata con ghirlande intrecciate, nastri colorati e a volte una bandiera (quella slovena o la bandiera rossa, simbolo del movimento operaio; o quella, sempre rossa, con la falce e il martello).
L’innalzamento del “mlaj” ha caratteristiche che per certi versi ricordano antichi riti di iniziazione: in origine erano i ragazzi appena diventati maggiorenni che si occupavano di preparare il “mlaj” e il rituale avveniva di notte. Anche il “mlaj” stesso ha un’evidente simbologia legata ai culti arcaici della madre Terra. In Slovenia il “prvi maj” è festa nazionale dal 1948. Fino a circa metà degli Anni Ottanta questo giorno aveva un forte significato politico, con cortei di operai che portavano all’occhiello un garofano rosso, raduni e comizi. Ma era anche un giorno dedicato al divertimento, con canti e balli.
Mentre mi dilettavo a capire questa tradizione slovena, ero in compagnia di un’amica che gentilmente mi avrebbe di lì a poco accompagnato al festival “èStoria” di Gorizia, il cui argomento era “la donna nella storia”.
L’edificio dov’ero alloggiato in quei giorni ospita al pian terreno negozietto di commestibili; all’esterno, un tavolino e due panchine ad uso pubblico corredano un comodissimo distributore di bevande calde e fredde, che in tutti questi giorni ha permesso interessanti colazioni all’aperto con operai e agricoltori che si fermano per il caffè e per l’acquisto di poderosi panini per il pranzo.
Poiché l’esercizio apre alle 7,30 il traffico è intenso in quel piccolo centro di campagna, salito recentemente alla ribalta nel nostro paese per via di un contestato spot turistico “pro-Italia” che conteneva un’immagine di un locale sloveno (infatti ero proprio a Goriansko).
Ma torniamo a noi: offro il caffè alla gentile signora e mentre parliamo e sorseggiamo ci avviciniamo alla sua auto. Lei alza il portellone posteriore per riporre la borsa e io appoggio sul pianale la mia tazza col cappuccino.
Continuiamo a parlare mentre, con quella gentilezza e bontà d’animo che mi contraddistinguono, la aiuto a sistemare la borsa. Detto, fatto e alzo il pianale… una tragica colata di cappuccino si infila inesorabilmente all’interno della borsa e del bagagliaio dopo aver inzuppato il poggiatesta di un sedile posteriore.
Un pregiato golfino bianco è ormai ben macchiato di caffè. Mi vedo già impiccato sul “mlaj” del paese accanto alla bandiera rossa dopo un sommario processo davanti agli anziani del villaggio. In realtà la clemenza della donna si traduce per me in un pubblico lavaggio in piazza del sedile, del baule e due ore – in privata sede, di insaponatura del golfino con dubbi risultati, nel lavandino dell’appartamento.