Il 25 aprile, martedì, a Ivrea c’era il vento: forse il vento del ricordo di quei tempi insanguinati che ci hanno consegnato la Repubblica.

Quel giorno non stavo molto bene e così sono rimasto a casa a leggere. Le galline e la Penny-cane sono state di conforto per questa giornata di festa, insieme – lo ammetto – alla televisione, un filo diretto con quello che succede fuori dalla casa, dalla “tana”. Di uguale conforto anche una serie di contatti via whatsapp e telefono con alcuni cari amici che anche per le loro faccende ti coinvolgono, facendoti gradevolmente sentire parte di qualcosa con altre persone.

Ad ogni modo, preso un bel libro dalla biblioteca, alternavo la lettura da seduto al tavolo della cucina a quella sdraiato sul divano, con lo spazio duramente conteso alla Penny-cane che pur dormendo, si irrigidiva senza mollare un centimetro della sua posizione, scalciando senza pietà se le toccavo una zampa. Mi sono presto addormentato anch’io… Poi una sensazione di freddo mi ha risvegliato e con uno sforzo sovraumano sono andato a prendermi la legna e mi sono acceso la stufa. In casa avevo 17 gradi e dormendo, perdevo calore rapidamente.

Fuori c’era il sole di una splendida giornata primaverile, ma il vento aumentava la mia sensazione di sentire freddo per cui ho scelto la penombra della cucina riscaldata. Dopo aver chiuso le galline (Arbra mi era corsa incontro uscendo dal pollaio e io, non capendone il motivo, l’ho rispedita dentro senza tanti complimenti), sono rientrato in casa e ho chiuso gli scuri, poi ho cenato scaldandomi la cena sulla stufa. Quindi ho ascoltato la radio fino al momento di andare a dormire.

Mi sembrava di essere dentro un racconto di Dino Buzzati, anche se di inquietudine neanche una traccia. Guadagnavo così il piano superiore attraverso la scala, l’osservatorio, il corridoio della rosa dei venti.

Entrato nella camera da letto, mi sono spogliato e infilato sotto le coperte. Dovevo caricare la sveglia-smartphone però, accidenti! Il telefono era rimasto sotto. Mi sono allora alzato dal letto, cercato le ciabatte, ripercorso il corridoio, sceso la scala e recuperato lo smartphone in cucina.

Sono tornato sopra, “puntato” la sveglia, ma, appena spenta l’abat jour, mi sono accorto che mancava il carica batterie! Così mi sono rialzato, tornato sotto e solo allora mi sono reso conto di non aver chiuso a chiave il portoncino.

Cerco la chiave che al suo posto non c’era e quindi ho vagato con le mani nelle tasche di giacche e pantaloni usate nelle ultime 48 ore. Dopo circumnavigazioni del tavolo e ascensioni inutili per la scala, mi sono messo finalmente a letto. Esausto!