Il voto a Monza e in Brianza ha clamorosamente bocciato la sfida radicale sull’eutanasia: il leader dell’Associa-zione Coscioni, Marco Cappato, sostenitore di pratiche dirette per il fine-vita (in dissenso con la sentenza della Corte costituzionale sull’accanimento terapeutico), è stato sconfitto duramente nella competizione per il seggio senatoriale dello scomparso Berlusconi, nonostante il sostegno di importanti media (tv e carta stampata).

La carta dei “diritti” era stata usata dai Radicali per ottenere il sostegno alla candidatura Cappato da parte di un riluttante centro-sinistra. Ma questa campagna elettorale non è stata gradita dai cittadini, che hanno disertato in massa le urne: solo il 19% si è recato ai seggi, un record assoluto; e quei pochi che hanno votato hanno scelto il forzista Galliani. Ogni cento iscritti nelle liste elettorali Cappato ha ottenuto otto voti: un flop clamoroso, anche per quei media che alla campagna radicale hanno dedicato la prima pagina.

Sul piano politico il voto colpisce negativamente la segretaria del Pd Elly Schlein, che ha imposto il sì a Cappato alla Federazione locale della Brianza (contraria) e alla componente nazionale di area cattolico-democratica; più defilato è stato il sostegno dei 5Stelle di Conte, in un primo tempo contrario all’alleanza.

La clamorosa vicenda di Monza ha una dimensione nazionale perché rimette in discussione il programma valoriale dei Dem, con la componente riformista sempre più lontana dalla linea radicale della segreteria; a questo si aggiunge il nuovo fallimento – tranne che a Foggia – del “campo largo”: non solo a Monza ma anche a Trento e Bolzano, con il presidente leghista che si afferma nella terra di De Gasperi e la SVP che subisce in Alto Adige una secessione filo-austriaca (a destra).

Non va meglio la preparazione delle liste per il prossimo voto regionale in Piemonte: Pd e M5S sono alla polemica quotidiana, mentre nei Dem è scontro aperto tra le candidature a presidente di Daniele Valle (riformista) e Chiara Gribaudo (area Schlein).

Le difficoltà dell’opposizione sono un inatteso aiuto per la coalizione di Governo, divisa al suo interno su molte questioni. Il bilancio 2024 dello Stato ha costretto la maggioranza a silenziare molte promesse elettorali, a cominciare dalla riforma delle pensioni. Sullo scacchiere internazionale, il voto in Polonia (con la sconfitta dei nazionalisti) toglie alla Meloni un alleato prezioso a Bruxelles, mentre l’abbraccio dell’ungherese Orban con Putin fa venire meno un altro componente dei Conservatori europei. A questo si aggiunga la discussa iniziativa di Salvini di promuovere per il 4 Novembre una manifestazione pro-Israele di forte impronta anti-Islam, nonostante il parere contrario di FdI e FI.

Dulcis in fundo la rottura tra la Meloni e il suo compagno Andrea Giambruno. La vicenda è uscita dall’ambito familiare perché il casus belli è stato determinato da una trasmissione di Mediaset, l’impero televisivo berlusconiano. Il direttore del tg satirico Striscia la notizia, Antonio Ricci, ha affermato che la scelta è stata unicamente sua, senza imposizioni; ma i filmati (con immagini “sessiste” del Giambruno) risalgono a tre mesi fa; perché uno “scoop” ritardato? Ambienti di Fratelli d’Italia, citati dal “Corriere della Sera”, hanno attribuito la scelta a Marina Berlusconi, da tempo ai ferri corti con la Meloni. Senza prove.

Resta un gelo tra gli alleati FdI e FI: qui appare debole la leadership del vice-premier Tajani e crescono le voci di una successione con l’ex sindaco di Milano Letizia Moratti, da poco rientrata tra i forzisti, in buoni rapporti con Marina Berlusconi (la famiglia mantiene un grande peso nel partito, anche perché ha garantito il pagamento dei debiti pregressi: 100 milioni).

Maggioranza e opposizione, nonostante il doveroso primato alle gravi vicende della guerra, permangono in rotta tra di loro, senza un vero confronto istituzionale: la Terza Repubblica, quella avviata dalla vittoria dei Grillini nelle politiche del 2018, appare ancora alla ricerca di un forte equilibrio politico, mentre il dibattito sulle riforme (premierato elettivo e autonomia regionale differenziata) sembra su un binario parlamentare senza sbocchi.

Continua, senza interruzioni, l’essenziale supplenza del Capo dello Stato, vero punto di equilibrio dell’intero sistema istituzionale. Continua anche, senza sosta, la lite centrista tra Renzi e Calenda, che ora hanno diviso anche i parlamentari. Un’opportunità politica sfumata, con il prevalere, ancora una volta, delle scelte personali sulle strategie politiche.