IVREA – Di mantra come “La fede è una cosa per vecchi” o “I giovani non vanno in chiesa” abbiamo riempito pagine e pagine e saturato il nostro cervello. Capita di usare frasi come queste, per dirla alla Italo Svevo, per crearci un “alibi”. Se tanto la vita spirituale riguarda solo l’età del pensionamento o peggio, l’età in cui si avvicina il pensiero della morte, allora potremmo anche giustificare (eventuali) scarsi risultati nel nostro lavoro e impegno quotidiano con e per i giovani. C’è poi il rovescio della medaglia: “gli oratori sono di nuovo pieni”. Cosa è vero? E come affrontare in maniera piena la questione “giovani e fede”?

Uno spunto più che prezioso giunge dal mondo accademico. Un recente studio condotto dalla Pontificia Università della Santa Croce parla proprio del rapporto fra i giovani e la spiritualità. Il Gruppo di ricerca “Footprints. Young People: Expectations, Ideals, Beliefs” dell’università romana si è coordinato con alcuni atenei di tutto il mondo. Messico, Argentina, Spagna, Inghilterra, Filippine, Kenya e Brasile, sono questi i paesi delle realtà accademiche che hanno lavorato congiuntamente al report, uscito il 29 febbraio scorso. L’analisi, svolta nel 2023 in questi 8 Paesi, Italia compresa, ha coinvolto 4.889 giovani di ogni condizione tra i 18 e 29 anni di età.

La priorità che si è posta il gruppo di ricerca, affiancato dall’istituto di sondaggi spagnolo GAD3, è quella dell’ascolto. Per analizzare in maniera fedele una realtà sociale così ampia e diversificata è necessario strutturare bene i quesiti e predisporsi ad un ascolto libero e sincero. Il primo rischio era infatti quello di far nascondere dietro il muro del pregiudizio il giovane sondato a campione. Una volta raccolti tutti i dati, 605 campioni per l’Italia, è stata poi creata una piattaforma online di facile consultazione che permette di consultare e incrociare i risultati dell’indagine. E in molti casi sono sorprendenti.

Partiamo dal quadro più generico. E iniziamo a smantellare la falsa idea di una generazione atea e disinteressata al trascendente. In Italia il 79,5% dei giovani crede che la spiritualità sia presente, in varie gradazioni, nella propria vita. Spesso queste persone sono in ricerca, alzano gli occhi nella speranza di incrociare lo sguardo luminoso di chi vive felice un’esistenza piena. Solo il 18,2% non ammira come qualcuno viva appieno e felicemente la propria vita religiosa. Riguardo il “credere”, l’analisi ci offre un panorama completo: l’8,93% dei giovani è indifferente all’esistenza di Dio, il 15,87% sta cercando di credere, il 34,88% crede, il 16,36% pensa di non poter saper nulla su Dio, l’8,76% non ha mai creduto e il 10,91% ha smesso di credere. Ci si concentra poi su quelli che hanno smesso di cre-dere, per i quali la Chiesa deve guardarsi allo specchio.

Il dato curioso riguarda il “quando” si è smesso di credere. La fascia con una percentuale più alta è quella più bassa di età: il 45,45% dei ragazzi che oggi non credono più hanno perso la propria fede tra gli 11 e i 14 anni, ai tempi della scuola media. L’altra buona fetta riguarda il periodo di formazione alle superiori, fino ai 19 anni, con un tasso del 42,42%; 6,06% invece sia alle elementari che dopo i 20 anni.

La fascia più a rischio è quindi quella in cui i ragazzi, una volta ricevuta la Cresima, smettono di vivere le realtà parrocchiali. È però pur vero che il 58% del campione pensa che il sacramento della Confermazione comporti grandi responsabilità. Sul perché questi ragazzi abbiano smesso di credere bisogna interrogarsi, specie perché il 19,96% di loro addita la colpa al cattivo esempio di alcuni credenti. Ci si ripete che varrà sempre la pena impegnarsi fin quando anche una sola persona avrà il cuore toccato dalla nostra testimonianza; cosa diciamo, invece, quando sono diversi quelli che si irrigidiscono e si allontanano per colpa nostra?

Un altro buon 18,71% ha trovato Dio nella scienza: con l’idea di credere nel tangibile rischia di dogmatizzare la sperimentalità incasellando il sapere tecnico nelle forme di quello teologico. Nascono qui i problemi circa l’idolatria per uomini di scienza e l’ossimorica infallibilità delle teorie. È nell’essenza dell’uomo alzare il naso e provare a contemplare il trascendente e riconoscere il bisogno di relazionarcisi. In fondo questo vuol dire pregare: per 9 ragazzi su 10 pregare significa conversare con Dio.

Questa è una generazione che cerca la verità in tutto, anche nelle relazioni interpersonali. È finito il tempo del libertinismo: cresce vertiginosamente il numero di chi preferisce l’amore al sesso (per il 42,9% la pornografia rovina le relazioni). Alla fine si finisce sempre nella tanto ripudiata antropologia cristiana: quella che meglio delinea l’uomo perché lo conosce più a fondo.

Guardare questi dati permette di smontare qualsivoglia pregiudizio su una generazione che sta rompendo con il passato per provare a creare un mondo migliore, un mondo in cui far crescere i propri figli. E di certo non sarà un mondo senza Dio.