(Mario Berardi)
La tela del Quirinale sta reggendo un Paese che, nella seconda pandemia, si è perso in molti egoismi, politici, sociali, personali.
Come negli anni Settanta della contestazione e del terrorismo, sembra smarrito il binomio insostituibile diritti-doveri: chi rifiuta le misure di prevenzione del Covid-19 dimentica la possibilità di divenire lo strumento del contagio; chi vuole emarginare gli anziani (il presidente della Regione Liguria, Toti, li ha definiti “non indispensabili” al processo produttivo) richiama linguaggi proibiti degli anni Trenta, rilanciando l’economia dello “scarto”; la classe politica che si azzuffa (pensiamo allo scontro dei presidenti regionali con il Governo) rilancia la politica come luogo di interessi, non servizio al bene comune; e anche nel dibattito di questi giorni sull’aborto si parla solo di diritti, ignorando la grande lezione del filosofo Norberto Bobbio sul valore irrinunciabile della vita nascente (scriveva, controcorrente, da ideologo della sinistra).
Il Presidente della Repubblica ha “ricucito” il dialogo tra Palazzo Chigi e la Conferenza delle Regioni, evitando il facile “scaricabarile” tra le Istituzioni, chiamate tutte a collaborare per la soluzione dei gravi problemi della lotta alla pandemia, ove nessuno è senza errori, né a Roma né nei territori (pensiamo ad esempio al Piemonte: prima crea un ospedale-Covid alle OGR, poi lo lascia smantellare e infine scopre l’urgenza di crearne un altro a To-Esposizioni!).
Ma l’azione più significativa Mattarella l’ha compiuta con le forze politiche in Parlamento: dopo anni di insulti, maggioranza e opposizione hanno finalmente trovato un punto d’accordo sulle iniziative antipandemia: il centro-destra (su spinta di Berlusconi) si è astenuto sulla mozione dei giallo-rossi, la maggioranza (su spinta di Zingaretti) ha accolto alcune richieste del centro-destra.
È passata la linea di misure territoriali legate alla gravità del contagio, con rigorosi parametri scientifici e con l’impegno unanime di accrescere i “ristori” alle categorie colpite, secondo una proposta di solidarietà concreta e tempestiva, che non dimentichi l’emergere drammatico di nuovi poveri (oltre i 5 milioni già censiti dall’Istat), come denuncia ogni giorno la Caritas.
L’iniziativa del Quirinale, di supplenza a Palazzo Chigi, deve indurre il premier Conte a continuare nella strada del dialogo: mai come oggi lo scontro radicale destra-sinistra (frutto della Rivoluzione francese) appare inadeguato a governare una società complessa come quella post-moderna (basti vedere quel che succede negli Stati Uniti del duello “rusticano” Trump-Biden).
La prossima mossa dev’essere la costituzione di un tavolo unico governo-opposizione per la gestione degli ingenti fondi europei: i 207 del Recovery Fund e i 37 del Mes (se Di Maio, Salvini e la Meloni si rassegneranno).
Questa grande disponibilità finanziaria non può essere patrimonio di una singola forza politica, ma va gestita coralmente con il contributo delle forze sociali: con progetti di grande respiro, infrastrutturali e occupazionali, senza strategie clientelari, tenendo conto non soltanto delle richieste della Confindustria, ma delle piccole aziende, del Terzo settore, delle strutture di solidarietà.
Peraltro i costanti sondaggi elettorali, anche in questa fase di rinnovata pandemia, non registrano partiti leader: la Lega al 23%, il Pd al 20, la Meloni e Di Maio sul filo del 15%. Non c’è, quindi, una spinta oggettiva al voto anticipato e anche le amministrative di primavera sono per ora nella nebbia: il Covid blocca le primarie del Pd, i pentastellati sono nel caos degli Stati generali, il centro-destra fatica nella ricerca di candidati-sindaci della società civile, i nuovi partiti di Renzi e Calenda sono fermi sull’asticella del 3%, Berlusconi al 6%.
Le forze politiche, senza perdere la propria identità, possono recuperare il consenso popolare (con il 40% di astenuti e incerti) lavorando seriamente sul solco tracciato dal Capo dello Stato: grande unità, priorità ai problemi, attenzione crescente alle fasce di nuovi e vecchi “disagiati”; la stessa sfida del terrorismo islamista all’Europa suggerisce una politica estera fortemente ancorata all’UE e all’Occidente, con l’obiettivo di ricreare nel bacino del Mediterraneo un’area di pace, ponendo fine alla spirale di sangue nel vicino Medio Oriente, dalla Siria alla Palestina, dal Libano alla Libia.