(Fabrizio Dassano)
Le elezioni amministrative del 1920, secondo la legge elettorale di Giolitti, si svolsero tra fine ottobre e inizio novembre, e furono le prime dopo la conclusione della Grande guerra. Il voto interessò tutti i comuni e le province del vecchio territorio nazionale del regno d’Italia, essendo tutti gli enti andati in prorogatio a causa della guerra e dell’ulteriore rinvio dovuto alla norma che non permetteva di celebrare nello stesso anno le elezioni locali e quelle nazionali. Non vennero invece coinvolte le zone appena conquistate, non essendo state ancora annesse per il dilungarsi delle trattative internazionali di pace a Parigi.
Il vigente sistema elettorale maggioritario rendeva la competizione bipolare tra i Blocchi Nazionali. Vennero create appositamente due coalizioni per queste amministrative che poi saranno riproposte alle elezioni politiche del 1921. Una comprendeva liberali di destra, popolari e fascisti e l’altra la componente socialista.
Variante a questo schema era una corsa tripolare col partito cattolico pronto a correre da solo dove si sentiva abbastanza forte da fare a meno dei blocchi. A livello generale la vittoria fu dei liberali, che conquistarono circa 3418 comuni su 6647 contro i 1915 dei socialisti e i 1314 dei popolari, i successi rossi furono qualitativamente maggiori, poiché concentrati nelle grandi aree urbane più industrializzate e popolose. Il Risveglio Popolare che non disdegnava l’agone politico, prendeva saldamente le posizioni politiche popolari senza andare troppo per il sottile con gli avversari. Pronto a correre da solo, così veniva scritto il 16 settembre 1920, in pieno “Biennio rosso” sul nostro giornale da un acceso articolista che si firmava Geremia, proprio come quel profeta che non le mandava a dire :
“Si lamenta da alcuni l’intransigenza del partito popolare che intende separarsi assolutamente dai liberali nelle prossime elezioni. Non ha avuto il partito liberale delle grandi benemerenze per il passato? E non ha ancora presentemente delle grandi energie da valorizzare per la causa del bene sociale?
Benemerenze?
Ecco quali sono, dal punto di vista della religione e della morale, le benemerenze del partito liberale. Ha abolito gli ordini religiosi, cacciato dai loro conventi i legittimi possessori e mettendo all’incanto le loro case e le loro proprietà. Ha incamerato i beni ecclesiastici sciogliendo le collegiate, abolendo o riducendo i canonicati, sopprimendo i legati di culto, violando in nome della libertà e senza scrupolo, le intenzioni dei testatori. Ha imposto la mano regia sui beni ecclesiastici, sottoponendo i nuovi investiti al regio placet e all’exequator del governo, e assoggettando i pochi redditi rimanenti alla mano morta e alla quota di concorso. Ha creato lo stato laico, sciogliendolo completamente da ogni vincolo religioso, ed esiliando lo stesso nome di Dio dalle aule del Parlamento e dalla bocca dei governanti.
Tentò di creare la famiglia laica con l’istituzione del matrimonio civile nella precedenza di questo sul matrimonio religioso e con l’introduzione del divorzio. E se alla precedenza e al divorzio non è ancora arrivato, non è certo per mancanza di volontà.
Ha creato l’educazione laica abolendo l’insegnamento religioso non solo nelle università e nelle scuole medie, ma nelle medesime scuole elementari, dove si vorrebbe strappare la nozione di Dio dal cuore dei nostri bambini. Ha creato la vita civile e militare laica, togliendo la religione dall’esercito e dalle aule della giustizia sciogliendo ogni manifestazione della vita civile dalle pratiche della religione e dell’influenza della chiesa. Ha fomentato la corruzione sociale permettendo, se non incoraggiando, il dilagare della stampa e dell’arte più spudoratamente irreligiosa ed immorale, tollerando le più sconce rappresentazioni teatrali e cinematografiche (…).
E poi ci ha regalato la guerra con la conseguenza della rovina materiale e morale della nazione. Ecco le benemerenze del partito liberale!”
Tra le varie raccomandazioni per gli attivisti del partito popolare, si ricordava inoltre di adottare i criteri per i candidati delle politiche del 1919: “D’ora innanzi prima di mandare deputati alla Ca-mera è necessario vedere che abbiano le spalle ben quadrate ed i pugni ben duri” e poi continuava rammentando di non dimenticare nella scelta dei candidati i contadino, gli operai e gli ex combattenti.
Non meno violenta la reprimenda sui socialisti. Dell’onorevole Bombacci (tra i fondatori del Partito comunista italiano e poi passato al fascismo, fucilato a Dongo nel 1945) il nostro giornale scriveva: “una volta povero maestruolo, se la gode sulla spiaggia di Rimini”. Dell’onorevole Bucco (esule poi morto probabilmente a Dachau nel 1944) scriveva: “… coll’automobile regalatagli dalla generosità proletaria trasporta sulla riviera giornalmente i pescecani e le pescecagne rosse. Ebbe anche l’inaudita fortuna di condurre la moglie di Bela Kun (politico comunista ungherese ucciso nel 1939 in una “purga” di Stalin) la fedele, energica, brava, audace compagna comunista ungherese, nonché ebrea. (…) Un giorno però a Bologna un gruppo di operai lo apostrofò con le seguenti parole: va a lavourér vagabound!”.
Del resto il clima teso regnava anche in Canavese: “la presidenza della Fede-razione giovanile dei cattolici canavesani, venuta a conoscenza della selvaggia aggressione subita a Montalenghe dagli amici che tornavano dal convegno di Strambino, si riunì e decise di svolgere un’intensa azione onde i colpevoli abbiano la pena meritata, anche per dimostrare che la libertà vogliamo sia rispettata anche dai rossi di Montalenghe”. Molti i comizi politici nelle sedi del partito popolare a Caluso, Can-dia, Foglizzo per chiudersi a Ivrea a cura della giunta direttiva del comitato provinciale del partito popolare.
Tra le pubblicità segnaliamo che “tutto il vostro bestiame (cavalli, vacche, maiali e galline) potete nutrire, rinfrescare e ingrassare economicamente con la pula di riso, semolini e farine di riso di nostra produzione” da Massara Battista presso l’Albergo Universo. Mentre l’olio da ardere “conveniente e molto adatto per lampade da chiesa” insieme agli olii d’oliva, olio medicinale e saponi di tutte le marche si trovavano in Via Arduino 33 presso Pasquero Battista successore di Arbore e Dolando con “prezzi da non temere concorrenza”.
Per le malattie della bocca e dei denti il dottor Federico Chiono riceveva in corso Massimo d’Azeglio al numero 1. Mentre per le malattie dell’orecchio, gola e naso c’era il dottor Leale a Torino che operava all’ospedale di Ivrea il 1° e il 3° venerdì di ogni mese e a Castellamonte “per schiarimenti” bisognava rivolgersi alla farmacia Forma. Il chirurgo e dentista Carlo Grondana laureato all’Ecole dentaire de Paris riceveva a Ivrea in via Palestro 8.
Con l’autunno alle porte Bertolotti forniva stufe e termosifoni e l’elettrotecnico Enrico Seregni forniva impianti di luce e forza con vasto assortimento di materiale elettrico. Il collegio-convitto “San Giorgio” a Porta Vercelli offriva i suoi servizi d’accoglienza, vitto e alloggio agli studenti di tutte le scuole di Ivrea provenienti dal circondario, dalle elementari alle superiori, con “rette miti”.