Il dibattito al Senato sulle dimissioni di Draghi non si è sviluppato sulla linea Mattarella della solidarietà e unità nazionale: negli interventi del premier e dei capigruppo dei pentastellati e della Lega sono emerse tre linee politiche diverse, anche se, mentre andiamo in stampa, fervono ancora i tentativi di salvare il Governo con una mozione di fiducia presentata dal senatore Casini.
Draghi ha svolto un intervento dalla doppia lettura. Da un lato ha riconosciuto l’urgenza dei problemi che angosciano il Paese, evidenziati dai molti appelli di Sindaci, imprenditori, forze sociali, volontariato laico e cattolico: guerra in Ucraina, ritorno della pandemia, crisi energetica, predisposizione di interventi finanziari urgenti (compresa la preparazione della legge di Bilancio 2023). Questa situazione esigerebbe l’esclusione del voto anticipato a ottobre ed una conclusione regolare della legislatura. Contestualmente Draghi non ha esitato a criticare i due partiti ex sovranisti (grillini e leghisti) per le loro posizioni: da una politica estera “morbida” con Mosca ai dissensi su molti temi programmatici, sino alla mancata fiducia dei grillini nel voto della scorsa settimana al Senato.
Le osservazioni del premier sono apparse una sfida ai due partiti ed hanno ottenuto nell’aula del Senato le contestazioni opposte di Licheri (grillini) e di Romeo (Lega). Ne è emersa una maggioranza sfilacciata, divisa su temi essenziali, anche se è politicamente rilevante il contrasto tra l’europeista Draghi e gli ex alleati del Governo sovranista Conte, Salvini, Di Maio. L’unità nazionale del Presidente Mattarella è scomparsa, rendendo ancora più grave la crisi politica. Sono apparse inconciliabili le posizioni dei grillini e dei leghisti, ma le richieste di Salvini sono ritenute ingestibili anche dal Pd che punta sulla riconferma di Draghi.
Sulla linea grillina di astensione ha pesato la scissione del ministro Di Maio e la spinta decisiva del quotidiano di Marco Travaglio, da sempre contrario al governo di unità nazionale e critico con la guida dell’ex presidente della Bce.
Nel centrodestra Salvini sente il peso dell’opposizione dell’onorevole Meloni, nonostante gli appelli dei governatori e dell’ala moderata della Lega, guidata da Giorgetti. Berlusconi ha dato spazio al leader leghista, nonostante l’opposizione dei suoi ministri.
A Palazzo Madama, nei fatti, le parole leghiste e grilline sono apparse unite nell’opposizione, anche se diverse negli obiettivi.
La scadenza del voto non è lontana, sia il marzo 2023 o l’ottobre prossimo. Ma il problema serio è la crisi politica sottesa alle spinte elettorali, con un quadro dei partiti profondamente lacerato: nel centrosinistra la rottura tra i Dem e i grillini, nel centrodestra l’opposizione di buona parte dei forzisti e dei leghisti all’egemonia della Meloni. È stato sbagliato anche il tentativo di una parte del centrosinistra di additare Draghi come futuro leader del fronte progressista, mentre in questa fase andava protetta la sua funzione di premier super partes, privilegiando il dovere della governabilità.
È mancata a Palazzo Madama l’occasione per un rilancio delle forze politiche che sono apparse chiuse nei loro interessi elettorali anziché tese alle esigenze complessive del Paese ed anche su un tema delicatissimo come la guerra non c’è stata una riflessione profonda, ma solo polemiche pretestuose. Il Paese merita di più: lo spettacolo litigioso del Senato non è all’altezza della crisi epocale che ha colpito l’Europa.
Le difficoltà del Parlamento riportano in ultima analisi la crisi politica nelle mani del Capo dello Stato che anche in questi giorni difficili non ha mancato di svolgere una “moral suasion” perché prevalga l’interesse generale del Paese sui singoli calcoli particolari. Occorre evitare che anche il prossimo voto dia vita ad una legislatura instabile e senza maggioranza come l’attuale. Il Paese non può permettersi il vuoto della politica ed i partiti debbono darsi alleanze e programmi non effimeri. Altrimenti ricadiamo nei governi balneari come nei tempi peggiori della prima Repubblica, con l’aggravante della disaffezione alle urne della maggioranza della popolazione.
La giornata al Senato non ha fornito elementi positivi alla pubblica opinione, mentre le istituzioni – baluardo della democrazia – esigono di essere rafforzate.