Dopo i sindacati, anche la Confindustria ha lanciato l’allarme sulla stagnazione produttiva, lamentando pure i tagli al settore nel bilancio statale 2024 (sul deficit il Governo ha gli occhi puntati di Bruxelles).

L’acciaio e l’auto sono i comparti più a rischio. Sulla lenta agonia dell’ex Ilva di Taranto il “Corriere della Sera” ha svolto un’inchiesta, con una domanda significativa: “Per salvare il complesso siderurgico occorrerebbero altri 5 miliardi in otto anni; intanto il presidente della società si è dimesso, e il rischio è la perdita di una filiera produttiva essenziale. Basterà importare da Cina e India?”.

Per l’auto è annunciato dal ministro Urso un tavolo di confronto con aziende e forze sociali. L’obiettivo di un milione di vetture prodotte quest’anno è lontano (siamo alla metà, mentre negli anni ‘90 l’Italia ne costruiva due milioni). La flessione ha colpito soprattutto Torino e il Piemonte per il declino della Fiat, oggi Stellantis (Lione). Secondo uno studio della Banca d’Italia nel primo ventennio del nuovo secolo il Pil del Piemonte è stato di poco superiore allo zero, mentre le altre regioni del Nord hanno registrato oltre il 10%. Ancor peggio Torino, sotto lo zero, mentre Milano, Genova, Bologna, Venezia sono cresciute di oltre il 17%. E il quadro che la cronaca ci presenta non è migliore: Stellantis ha liquidato il Polo Maserati progettato da Sergio Marchionne a Grugliasco (con pesanti ricadute sull’occupazione nella cintura ex industriale della metropoli); contestualmente ha chiesto agli impiegati “centrali” 2mila dimissioni su 15 mila posti; al prossimo tavolo ministeriale ha già preannunciato la richiesta di agevolazioni e incentivi, in un bilancio statale che, per ora, non prevede stanziamenti.

La stagnazione industriale, tuttavia, non sembra essere al centro dell’attenzione della politica e della società, né a Torino né a Roma. I tagli di Stellantis sono passati quasi inosservati, mentre la Capitale subalpina celebrava i successi tennistici (e di pubblico) delle ATP Finals; un risultato lusinghiero che ha coinvolto le aree centrali e semi-centrali della metropoli, lasciando distanti le periferie (sempre degradate) e le cittadine della cintura post-industriale. Ancora una volta due città a velocità contrastanti. Permane la domanda di fondo: si può vivere solo di turismo e grandi eventi, con l’industria fanalino di coda? Il Ponte sullo Stretto (dal costo di 11 miliardi di euro) vale di più dell’auto e dell’acciaio, anche sul piano dell’occupazione?

Ai tavoli ministeriali è necessaria una concreta disponibilità agli investimenti da parte delle imprese, il gruppo franco-indiano Arcelor-Mittal per l’ex Ilva, Stellantis per l’auto, ma lo Stato deve recuperare un suo spazio progettuale e finanziario. Per questo è essenziale una revisione delle priorità, insieme a una politica europea che non isoli il Paese, come teme l’ex presidente UE Romano Prodi.

Bruxelles è insoddisfatta per la gestione di diversi capitoli, tra cui le concessioni balneari, soprattutto non capisce il “veto” sul Mes che colpisce gli altri 26 Paesi dell’Unione. In concreto Roma non sta ottenendo sul piano di stabilità finanziaria quelle agevolazioni che consentirebbero significative manovre di bilancio. Di qui al 9 giugno, giorno del voto europeo, la maggioranza saprà far prevalere gli interessi generali del Paese sulle aspettative elettorali? Le diatribe quotidiane sulle liste regionali tra Meloni, Salvini, Tajani non sono un buon viatico (sembrano copiare alla grande gli scontri Pd-M5S-Centristi nell’opposizione).

Il dibattito industria-turismo investe anche l’intera società, chiamata a interrogarsi sul volto del Paese negli anni Duemila. Siamo passati dal primato dell’industria alla sua marginalità, ma non sono emerse realtà alternative, anche nei tempi di Internet. Una grande responsabilità coinvolge contemporaneamente il mondo della finanza, chiamato ad analizzare le sue scelte anche in relazione allo sviluppo integrale di sessanta milioni di persone.

Il tema è ancor più centrale per il Piemonte, che non può accettare come inevitabili i risultati economici-sociali accertati dalla Banca d’Italia. Il declino dell’Impero Fiat non può condurre alla stagnazione della Regione, fanalino di coda del Nord produttivo; per questo, accanto agli investimenti turistico-culturali-sportivi, va ripresa la vocazione dell’automotive, con un coinvolgimento pressante delle forze sociali e della proprietà Stellantis, del Governo. E anche la forte caduta demografica, che ha molte ragioni, trova alcune spiegazioni nel minor richiamo produttivo.