Un amico mi ha regalato un libro dedicato al beato Marco d’Aviano, frate minore cappuccino vissuto nella seconda metà del ‘600, contemplativo itinerante, militante protettore d’Europa. Figura attualissima, perché seppe con la sua predicazione unire le Nazioni europee in un momento di grave divisione e confusione, per affrontare l’invasore ottomano, richiamando alla comune radice cristiana popoli diversi e lontani.

L’ampio trattato dedicato al beato Marco ha per copertina un dipinto di Johann Melchior Roos che raffigura una drammatica scena che ha luogo dopo la battaglia di Vienna del 12 settembre 1683, che segnò la fine dell’assedio della capitale austro-ungarica e anche dei piani di espansione Ottomana verso l’Europa.

Nel dipinto, il co-mandante dell’esercito imperiale Carlo di Lo-rena visita la tenda del gran visir ottomano Kara Mustafa (sconfitto e messo in fuga dai polacchi di Giovanni Sobieski) e si imbatte in un soldato morente, Stanislao Potocki. Dietro al ferito, desolato, il figlio del vincitore della battaglia, Giacomo.

Nulla di celebrativo! Da un lato la tristezza e la commozione di Sobieski per l’amico morente, mentre alle sue spalle ha luogo il saccheggio del campo dei vinti. In mezzo alla scena, Fra Marco che guarda al vincitore e pare ricordargli che neppure una vittoria per la cristianità esenta dalla continua conversione che, sola, preserva e libera dal peccato. La storia d’Europa, infatti, sarebbe continuata ad essere un mattatoio, fino ai nostri giorni e la ragion di stato avrebbe continuato a rendere ostili le Nazioni e i popoli tra loro.

Oggi, coscienti che non esiste guerra giusta, sappiamo che “servono dialogo, negoziati, ascolto, abilità e creatività diplomatica, e una politica lungimirante capace di costruire un sistema di convivenza che non sia basato sul potere delle armi o sulla dissuasione” (Papa Francesco). Nonostante questo “continuano le lotte e giovani uomini e donne, combattenti e civili, sono vittime – in molti Paesi e molto vicino a noi – della follia crudele della guerra”.

Ai nostri occhi si ripropongono continuamente le scene di pietà come nel quadro di Roos, nelle quali la vittima è sorretta dalle braccia dell’amico affranto o della madre dolente. Lì in mezzo al dramma del mondo continua la predicazione profetica di una giustizia che non può venire dal Potere degli uomini ma dalla Grazia divina.