Quando ero piccolo, fare il presepe era un rito attesissimo e irrinunciabile. Le pecorelle (che erano sempre una in meno del previsto), il pastorello con la mano ammaccata, qualche frammento di corteccia e di muschio del giardino. L’impianto cambiava tutti gli anni: una volta sotto l’albero, una sulla credenza, un’altra sul giardino prensile. Con libri e scatolette modellavamo lo scenario. È sempre stata una tradizione di famiglia: un mio prozio passava tutto l’anno a costruire le casette per il presepe ed il suo era il più ammirato del borgo.

Purtroppo questa bella tradizione è andata un po’ morendo, complici fra il resto i vari ed estenuanti traslochi famigliari. Oggi dove vivo a Roma, su una trentina di camere, erano due o tre i presepi. Io, in ritardo, ho rimediato una simpatica ed economica natività ready-made. E pensare che come simbolo è il più esplicito che il Natale possa portare. Certo, l’albero è bellissimo e divertente da addobbare in compagnia, ma sfido a sondarne il significato cristiano. Ratzinger nel ’78 disse: “Gli alberi adorni del tempo di Natale non sono altro che il tentativo di tradurre in atto queste parole: il Signore è presente, così sapevano e credevano i nostri antenati; perciò gli alberi gli devono andare incontro, inchinarsi davanti a lui, diventare una lode per il loro Signore”. Non parliamo poi della renna luminosa sul balcone…

Se abbiamo fatto il presepe non abbiamo solo riempito uno spazio vuoto in casa, ma abbiamo riscoperto un linguaggio – e soprattutto una persona – che parla al cuore, che unisce generazioni, che invita a fermarsi e a riflettere, che cambia la vita. Se uno festeggia qualcosa deve ben sapere cosa sta festeggiando, o almeno provarci, altrimenti il rischio è di scadere in quelle “Buone Feste” non ben definite. Capire il Natale infatti passa anche da quel presepe dai più colpevolmente abbandonato. È più comodo lasciarlo nel vecchio cassone; da lì non ci ricorda tutti i giorni chi è il centro della festa e perché, tramite Lui, lo siamo tutti noi.

Possiamo scegliere se continuare a lasciarlo nel cassone impolverato o se prepararci a donargli nuova vita per il Natale che verrà. Betlemme insegna, che anche da ciò che sembra piccolo e insignificante può nascere qualcosa di straordinario.