Nello scontro continuo destra-sinistra, alimentato dalla prossima scadenza elettorale, il Presidente della Repubblica è impegnato ogni giorno a garantire l’unità del Paese, perché la Costituzione tutela tutti i cittadini, senza distinzioni. Sergio Mattarella si conferma autorevole, super partes, non condizionato da chi lo vorrebbe strumentalizzare in uno schieramento politico. E i sondaggi segnalano un forte apprezzamento per lui da parte dell’opinione pubblica.

Anzitutto mantiene una linea coerente sul conflitto russo-ucraino con un doppio binario: la condanna dell’aggressione moscovita, in spregio al diritto internazionale; l’urgenza di ricercare una via di trattative che conduca a una pace giusta. Sul Medio Oriente da sempre sostiene la tesi di “due popoli, due Stati”, condannando sia la ferocia terroristica di Hamas sia la reazione sproporzionata del Governo israeliano a Gaza, incurante delle vittime tra i civili.

In politica interna Mattarella non ha esitato a solidarizzare con la premier Meloni di fronte a provocazioni offensive sul piano personale. Contestualmente è intervenuto in vicende che hanno visto discutibili posizioni ministeriali. Ha ricordato al Titolare degli Interni, dopo le manganellate della polizia agli studenti di Pisa, che l’ordine pubblico va gestito in armonia con il principio costituzionale di libertà di manifestazione.

Il presidente della Repubblica ha inoltre espresso apprezzamento per la scuola di Pioltello che lavora per il pieno inserimento dei giovani extra-comunitari, indirettamente sconfessando il ministro dell’Istruzione che aveva negato alla Preside il diritto di concedere un giorno di vacanza per il Ramadan. La logica del Quirinale è il rispetto delle diverse fedi religiose in una società pluralistica, nella linea dell’integrazione. Al padre di Ilaria Salis, processata in Ungheria in condizioni indegne per uno Stato europeo, ha espresso condivisione, con una implicita sottolineatura dei ritardi del nostro Dicastero della Giustizia di fronte agli abusi del Governo “amico” di Orban.

Ogni italiano va tutelato, nell’ambito del diritto europeo, a prescindere dalla sua connotazione politica.

Il ruolo di “garante” svolto dall’inquilino del Quirinale risalta maggiormente nel momento in cui si è aperto in Parlamento il lungo e tormentato iter (occorrono quattro “letture” parlamentari e con ogni probabilità il referendum popolare) per il “premierato elettivo”, cavallo di battaglia di Meloni & C.. Questa riforma svuota il Capo dello Stato di sostanziali poteri e li trasferisce al Premier, ovvero al leader della maggioranza. L’esperienza mondiale, dagli Usa alla Francia, insegna che il Presidente pensa principalmente ai suoi elettori, che in alcuni casi rappresentano appena un quarto della popolazione.  E gli altri?

In Italia peraltro i tentativi di riforma presidenzialistica non sono mai passati; ultimo caso quello di Renzi nel 2016. Non è poi senza significato che il leader toscano sia passato, in pochi anni, da un suffragio plebiscitario (41%) all’attuale 3 per cento che lo costringe addirittura a un “matrimonio” di convenienza con la radicale Bonino, per sperare di superare il tetto del 4% alle Europee.

Sul voto del 9 giugno continua la “guerra” interna alla maggioranza tra Salvini e la Meloni. Fratelli d’Italia, per “salvare” il leader del Carroccio da una mozione di sfiducia in Parlamento, ha ottenuto dalla Lega un documento di presa di distanza da Putin e l’affermazione della interruzione dei rapporti con il partito del Capo del Cremlino. Ma le dichiarazioni “ambigue” sull’assassinio di Navalny e il plauso al voto moscovita che ha incoronato il nuovo zar restano agli atti.

Altrettanto fermo il dissenso dalla Lega di Tajani, mentre nel Carroccio cresce il disagio interno. Per questo si rafforzano le voci di un rimpasto di governo dopo le Europee, anche se Salvini minaccia “le barricate”, nell’Esecutivo e nel partito.

A sinistra ci sono problemi nel Pd per le liste: la Schlein spinge per uno spostamento radicale, con prevalenti presenze di “esterni”, mentre la minoranza riformista difende il lavoro compiuto dagli eurodeputati a Bruxelles. I Pentastellati faticano a intercettare capilista di rilievo per i cinque collegi; la Schlein e Conte temono erosioni dalla lista “pacifista” del giornalista Michele Santoro. Le tensioni non mancano.