(Michele Curnis)
In occasione delle celebrazioni dantesche di cento anni fa, il Risveglio Popolare di Ivrea, che all’epoca aveva appena un anno di vita, fu estremamente attento a fornire puntuali ragguagli sulle attività che si realizzavano in città, e in alcune occasioni intervenne anche nel merito della divulgazione e del dibattito su Dante. Il capillare coinvolgimento del giornale diocesano è un ulteriore segnale del generale interesse per Dante, tanto forte da unire l’amministrazione municipale, il Regio Liceo-Ginnasio “Carlo Botta”, la stessa diocesi, l’Opera Bonomelli e l’editore Viassone, delle cui stampe già si è dato conto in altri articoli precedentemente pubblicati.
Non va dimenticato che gli anni successivi alla conclusione del Primo conflitto mondiale furono tra i più travagliati per la società italiana del Novecento. A dispetto della vittoria militare, la crisi politica ed economica andava fomentando movimenti ideologici in violento contrasto tra loro, che avrebbero preparato i contesti dell’episodio di Fiume, della marcia su Roma e dell’avvento del Fascismo. Anche nel clima convulso del “Diciannovismo”, tuttavia, in quasi tutta la penisola il nome di Dante equivaleva a unità nazionale, spirito di rivalsa, profezia di salvezza, o almeno speranza di tempi migliori.
Nel biennio 1918-1919 vanno ritrovate le ragioni di un gesto simbolico di grande suggestione, a conclusione dell’anno dantesco: il 13 settembre 1921, durante la solenne inaugurazione della restaurata tomba di Dante a Ravenna, al Regio Esercito venne concesso il privilegio di deporre l’unica corona di bronzo e argento all’interno del sacello. Anco-rata nel marmo della pavimentazione, quella corona univa idealmente tutti i caduti della Grande Guerra a difesa dei confini nazionali e l’esule che di quei confini aveva preconizzato i limiti geografici (con i famigerati versi di Inf. IX 113-114: «a Pola, presso del Carnaro | ch’Italia chiude e suoi termini bagna»). Le vecchie porte lignee della tomba ravennate furono sostituite da un nuovo portale bronzeo, dono del Municipio di Roma, ricavato da un cannone austriaco catturato durante il conflitto: un altro segno, estremamente concreto, del merito spirituale che si attribuiva al messaggio di Dante a conclusione della Guerra.
Nello stesso centenario, molto spesso alla venerazione per Dante si mescolarono sia il rimpianto per il sacrificio tradito della Prima Guerra Mondiale sia la desolazione per la virulenta lotta sociale in corso. Riassume tutto questo un sonetto inedito di Ambrogio Parino (alias Ripano), stampato sul Risveglio Popolare del 16 giugno 1921, ossia poche settimane dopo quelle elezioni politiche nazionali che consentirono al Partito Fascista di entrare nel parlamento. Il 26 maggio, tra l’altro, analizzando sul settimanale diocesano i risultati elettorali, Adolfo Coassolo aveva lasciato da parte la prospettiva locale (in Canavese aveva stravinto il Partito Popolare), per riflettere piuttosto sulla nuova «impronta antidemocratica» che dava a preoccupare per l’avvenire.
Anche in una cittadina periferica come Ivrea, pertanto, il progetto di un ciclo di conferenze pubbliche su Dante destò un vivissimo interesse, come si può apprezzare dai tanti articoli, avvisi, stelloncini e cronache de Il Risveglio Popolare. Il primo annuncio dell’iniziativa fu la colonna Conferenze Dantesche, nel numero del 6 gennaio 1921, dedicata ad anticipare «un raro godimento intellettuale, tanto più raro nella nostra Ivrea ove non abbondano le occasioni di elevare la mente al disopra delle piccole miserie quotidiane».
Soprattutto si spiegavano ai lettori genesi e scopo delle letture dantesche. La filiale eporediese dell’Opera di assistenza per gli italiani emigrati in Europa, fondata nel 1900 da Geremia Bonomelli, vescovo di Cremona (conosciuta in seguito e tuttora operante come Opera Bonomelli), fu la promotrice del comitato organizzativo, in collaborazione con la sezione eporediese dei Professori delle Scuole Medie; a presiedere l’intero apparato fu una nobildonna di Ivrea, la contessa De Jordanis. Sin dall’inizio, si decise di istituire un biglietto d’ingresso a pagamento (al prezzo di 1 Lira), al fine di destinare il ricavato al Segretariato degli Emigranti, l’ufficio che gestiva la comunicazione con i canavesani emigrati all’estero per lavoro. L’anonimo redattore concludeva l’articolo con l’invito ad assistere alle conferenze: «Gli Eporediesi si preparino a dare una doppia prova di Italianità accorrendo a queste conferenze, poiché, onorando il Padre della nostra lingua, concorreranno ad aiutare e a confortare l’esilio volontario ma non sempre facile e lieto dei nostri lavoratori, ed il nome di Dante ci raccolga tutti, all’interno ed all’estero, nel palpito sublime della Patria».
Il ciclo delle letture iniziò il 16 gennaio, ma solo sul numero del 20 di quel mese il Risveglio Popolare poté dare notizia del calendario completo, con i titoli e i nomi dei relatori: 16 Gennaio (I lettura), Emilio Pinchia, La vita ed i tempi di Dante; 20 Gennaio (II), Pinchia, L’Inferno; 23 Gennaio (III), Federico Ravello, Il sentimento della vendetta in Dante; 30 Gennaio (IV), Dionisio Borra, Dante poeta popolare; 13 Febbraio (V), Pinchia, Il Purgatorio; 20 Febbraio (VI), Giacomo Boggio, L’origine dell’anima umana nel 25° canto del Purgatorio; 27 Febbraio (VII), Giuseppe Corradi, La vita politica italiana nell’età di Dante; 6 Marzo (VIII), Gaudenzio Manfredi, Modernità di pensiero politico di Dante; 13 Marzo (IX), Pinchia, Dante e Virgilio; 20 Marzo (X), Pinchia, La figura di Beatrice; 3 Aprile (XI), Adolfo Coassolo, Il misticismo in Dante; 10 Aprile (XII), Pinchia, Il paradiso; 17 aprile (XIII), Alessandro Favero, Di alcune interferenze platoniche nella Scolastica di Dante; 24 Aprile (XIV), Borra, Nella rosa dei beati; 8 Maggio (XV), Ravello, Dante e il Canavese. Appare evidente che il conte Pinchia, relatore in sei occasioni e responsabile dell’illustrazione delle tre cantiche della Commedia, fosse l’anima intellettuale dell’iniziativa. Sin dal 1913 egli si era ritirato dalla vita politica, per stabilizzarsi a Ivrea e dedicarsi a ricerche storiche o al restauro di castelli canavesani (come quelli di Rivara e di Banchette), con l’aiuto del suocero, il banchiere torinese Carlo Ogliani. Nel 1921, in occasione delle celebrazioni dantesche, Pinchia poté congiungere la passione letteraria e un antico interesse per l’emigrazione dei canavesani all’estero, testimoniato tra l’altro da una conferenza letta al Circolo Canavesano il 16 Marzo 1893 (recentemente ripubblicata in A. Pinchia e F. Balbo, L’emigrazione dal Canavese, L’Atene del Canavese, San Giorgio 2015).
I cronisti de Il Risveglio Popolare non mancano di rilevare la straordinaria abilità retorica di Pinchia e il successo delle sue conferenze, alle quali assistevano importanti personalità, come il vescovo di Ivrea, Mons. Matteo Filipello, i Duchi di Agliè, il Sottoprefetto e il Comandante del presidio.
Richiamano l’attenzione l’ampiezza e la varietà dei profili sociali dei relatori: un ex deputato del Partito Liberale (Pinchia), un professionista ben conosciuto in città (l’avvocato Favero), un importante ecclesiastico della Diocesi (Mons. Boggio, Canonico della Cattedrale), un nutrito gruppo di professori del Liceo “Botta” (Borra, Manfredi, Ravello) o l’epigrafista Corradi (che nel 1931 avrebbe pubblicato il secondo fascicolo del vol. XI delle Inscriptiones Italicae, interamente dedicato a Eporedia e tuttora fondamentale per la collezione epigrafica del Museo Garda). Ma non solo: Coassolo, oltre che laureato in lettere, già Presidente della FUCI torinese, Capitano degli Alpini e invalido di guerra, fu un attivista politico del Partito Popolare in Canavese; e proprio nel 1921, insieme a Gianni Oberto, assunse la direzione de Il Risveglio Popolare (che di quel partito era l’organo locale).
Grazie alle cronache del settimanale diocesano si apprende che cento anni fa, nel nome di Dante, politici, professori, ecclesiastici e professionisti eporediesi si impegnarono in una laboriosa interazione con l’uditorio canavesano, per di più nell’ambito di una causa umanitaria.
Dopo cento anni, Dante non è affatto passato di moda; anzi, in tutto il mondo è più conosciuto e popolare che mai. Quale eredità collegata al nome e all’opera di Dante lascerà dunque Ivrea, di impegno civico e pubblico analogo a quello di un secolo fa, per «coloro | che questo tempo chiameranno antico»? (Par. XVII 119-120)