Secondo i dati Istat gli italiani sono 59 milioni. Secondo Quifinanza, a muoversi per le vacanze estive sarebbero stati in 29 milioni. Dunque in ben 30 milioni sono rimasti a casa.
Il termine “turismo” è nato tra il XVII e il XVIII secolo e deriva dal francese, legato inizialmente al “grand tour”, un viaggio di lunga durata svolto da giovani aristocratici europei per scopi educativi e culturali. A quel tempo, il turismo era praticato da una ristretta élite che lo considerava parte integrante del proprio stile di vita e richiedeva ampie risorse finanziarie oltre che di tempo.
Con l’avvento della società industriale, si iniziò a distinguere tra tempo di lavoro e tempo libero. L’introduzione delle ferie pagate rappresenta una delle conquiste dei movimenti operai del XX secolo. In molte nazioni europee, come la Francia, le ferie pagate furono istituite negli anni ’30.
Questi cambiamenti permisero alle classi lavoratrici di avere modo di riposarsi e svagarsi, contribuendo alla democratizzazione del tempo libero. Prima di allora, il viaggio era una prerogativa delle classi agiate: l’unico tempo di non lavoro era quello “sacro”, come il matrimonio e le feste religiose. Esisteva anche il pellegrinaggio al santuario: nel caso del Canavese quello per eccellenza ad Oropa, dove anche le classi meno agiate potevano recarsi una volta l’anno, a piedi o con i mezzi pubblici dell’epoca, e sostarvi per dedicarsi alle funzioni religiose e all’immancabile polenta concia. Il Santuario di riferimento di mia madre era quello di Crea, in Monferrato; quello di mio padre invece era quello Madonna del Palazzo di Crescentino.
Quest’anno ho passato una settimana a Oropa. Volevo restare in perfetta solitudine (eccetto che con la Penny-cane) e mangiare i prodotti del posto. A riposo dal gran vociare del mondo della scuola ho scoperto che il giorno stesso del mio arrivo in Santuario erano giunti anche 500 studenti spagnoli delle scuole superiori con i loro accompagnatori: la vita del santuario, scandita dalle campane, li ha perfettamente integrati nell’atmosfera estiva.
Ho fatto una puntata alla galleria “Rosazza” chiusa al traffico auto perché al di là, nella vallata del Cervo, la strada che porta al Santuario di S. Giovanni d’Andorno non è percorribile con i mezzi. Sono tornato a visitare la vecchia filovia parcheggiata sui pochi metri di binario sopravvissuti della vecchia linea Biella – Oropa e ho immaginato di vederla ansimante arrivare dal curvone del “prato delle oche” diventato da qualche tempo “il prato grande”.
Poi mi sono ricordato di un romanzo, in parte ambientato in uno dei ristoranti storici del santuario: “La sposa americana” di Mario Soldati…