Ad inizio settimana la consigliera regionale del PD, Monica Canalis, ha diffuso una sua nota nella quale metteva in evidenza che “il capitolo del bilancio regionale dedicato alle fragilità sociali, i cosiddetti extra Lea che finanziano gli assegni di cura e i buoni servizi domiciliari nella città di Torino, gli interventi sulla psichiatria in tutto il Piemonte (gruppi appartamento, comunità alloggio, assegni terapeutici, borse lavoro) e il sostegno ai malati di Sla, da quando si è insediata la Giunta Cirio nel 2019 ha subito un taglio netto: da 55 milioni di euro si è passati ai 43 milioni del bilancio di previsione 2023”. Il tutto annotando che “il taglio di bilancio è stato fatto solo sui fondi regionali che finanziano la domiciliarità nella città di Torino, mantenendo invece invariati i fondi che riguardano il resto della Regione” e sottolineando che “il bonus ‘Scelta Sociale’ della Regione Piemonte costituisce un sollievo immediato per le persone non autosufficienti e per le loro famiglie, ma è una grave distorsione sul medio periodo. Infatti si tratta di fondi europei sociali e non di fondi sanitari Lea: siamo quindi di fronte ad un contributo una tantum e non ad un diritto esigibile; si tratta inoltre di fondi temporanei con scadenza 2024”.

Lasciando agli amministratori regionali di affrontare nelle sedi opportune il problema dei finanziamenti, diamo un’occhiata alla situazione. A seguito della pandemia ci siamo resi conto della difficoltà e dei limiti dell’assistenza ospedaliera e della necessità di attuare dei sistemi di cura di prossimità che favorissero l’assistenza domiciliare. Già nel periodo dal 1998 al 2005, nei Piani Sanitari Nazionali si parlava di nuove risposte assistenziali (come ad esempio la deospedalizzazione e conseguente consolidamento delle cure a domicilio) e di come regolamentare l’organizzazione e gli strumenti gestionali utili al funzionamento di questo sistema.

In Italia, il modello di cura domiciliare (Home care) più diffusa, è l’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI), che fu inserita nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) nel 2017 e che viene definita come l’insieme delle prestazioni mediche, infermieristiche e riabilitative erogate a domicilio, unitamente agli accertamenti diagnostici, alle forniture di farmaci, dispositivi medici e diete nutrizionali.

Uno studio fatto in Canada nel 2002 dimostrava che a parità di servizi utilizzati, il costo dell’assistenza domiciliare presenta costi minori e le esperienze confermano che un percorso assistenziale personalizzato, flessibile e verificabile rende più umano il percorso di cura ed un miglioramento della qualità della vita del malato. Nel Pnrr (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) si parla di Case di Comunità e di Ospedali di Comunità per far fronte al crescente bisogno di assistenza e di cure che evitino il sovraffollamento di ospedali e assistano i malati con patologie croniche e le persone più fragili. All’interno di questo progetto di cura di prossimità, l’Assistenza Domiciliare Integrata è diventato il punto centrale per una riforma sanitaria sul territorio.

L’idea e la sfida, se vogliamo era di sostenere il 10% della popolazione con più di 65 anni (attualmente sono il 2,7%) quindi circa 800mila persone assistite a domicilio. Dopo l’intesa Stato Regioni, il Decreto Ministeriale di riparto è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il 6 marzo 2023 e prevede lo stanziamento di quasi 5 miliardi di euro in 5 anni per l’intervento domiciliare. Il rischio, denunciato da molte parti è che, stante la cifra stanziata, si potranno coprire accessi di ADI solo per 2-3 mesi, successivamente ad una dimissione ospedaliera e che rischiano di rimanere esclusi dalle cure domiciliari tutte quelle persone anziane bisognose e tutte le persone cronicamente non autosufficienti che hanno anche bisogno di interventi a sostegno dei familiari e dei caregiver impegnati 24/24 e 7/7 nell’assistenza alla persona che ne ha bisogno.

Bisogna pensare anche a tutto questo, onde evitare sprechi o interventi monchi che non fanno bene a nessuno.