XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)
Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
(Elisa Moro)
Il perdono cristiano è al centro della lettura odierna del discorso ecclesiale di Gesù. Nell’antico popolo giudaico il perdono era concesso fino a tre volte (Gen. 50, 17; Gb. 33, 29); Pietro, in questo brano, osa reclamare fino a “sette volte”, quasi a voler dimostrare la sua bravura davanti al Signore, ma Gesù esige il perdono illimitato e assoluto, espresso dall’incalcolabile cifra di pienezza biblica: “settanta volte sette” (Mt. 18, 22). Merita soffermarsi su questa frase, assai utilizzata anche popolarmente, ma densa di significato se riletta nella giusta chiave del Vangelo.
Nell’interpretazione comune si pensa che il perdono sia l’arma dei deboli, di coloro che subiscono e non hanno la forza per reagire alle sopraffazioni e agli abusi: è questa la filosofia del XX secolo, in particolare quella di Nietzsche, che può riassumersi con l’idea che la religione del perdono è quella del debole, dell’oppresso.
Non così però procede la logica della Buona Novella: “quando sono debole è allora che sono forte” (2Cor 12, 10); il perdono diventa, da fragilità umana, una forza vitale e liberante, nella misura in cui ciascuno si riconosce “bisognoso”, a sua volta, “della misericordia divina” (Crisostomo, LXI), del perdono operato da Dio, porta d’accesso alla salvezza dell’uomo.
È quanto Papa Francesco ha indicato, nella bolla di indizione dell’Anno della Misericordia – Misericordiae Vultus: “La giustizia da sola non basta, e l’esperienza insegna che appellarsi solo ad essa rischia di distruggerla. Per questo Dio va oltre la giustizia con la misericordia e il perdono. Dio supera la giustizia in un evento superiore dove si sperimenta l’amore, la misericordia”.
È Cristo crocifisso e morente, “misericodiae vultus”, quello che proprio il 14 settembre la Chiesa ricorda e celebra glorioso e vincitore nell’Esaltazione della Vera Croce, che predica, con la sua stessa carne straziata e con le parole, il più alto insegnamento sul perdono, quello rivolto ai nemici, agli aguzzini: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).
Certo, questa è una sfida del tutto impossibile per le sole forze umane e quante volte, per orgoglio o per superbia, si manca di perdonare. Il segreto, come insegna Romano Guardini, non è “lo devi fare, quindi sforzati, ma: Cristo ti ha ottenuto dal Padre il grande perdono, attingi in quello la forza per esercitare il tuo piccolo perdono” (R. Guardini, Preghiera e verità).