La bocca esprime ciò che dal cuore sovrabbonda
(di Luisa Martinoli)
Per la prima volta, nel Vangelo di questa ottava domenica del tempo ordinario – ultima, prima del mercoledì delle Ceneri e l’inizio della Quaresima – San Luca usa l’espressione “parabola” per indicare in modo simbolico il racconto di Gesù agli apostoli.
Questo testo non ci presenta una serie di precetti o norme da osservare ma una sequela di esempi. Le parole di Gesù sollecitano il cambiamento del nostro cuore e la testimonianza della nostra vocazione. Il credente non deve stigmatizzare le mancanze e i comportamenti sbagliati degli altri e ritenere se stesso privo di torti o di errori. Al contrario, deve mettere a nudo la propria coscienza e riconoscere le proprie debolezze e meschinità. Solo così, dopo aver individuato “la trave nel proprio occhio”, gli sarà possibile rivolgersi al fratello e, in spirito di misericordia, “togliergli la pagliuzza” aiutandolo a porre rimedio ai propri errori.
Queste osservazioni ci rimandano alla quotidianità della nostra vita e delle nostre relazioni. Quante volte anche noi cristiani abbiamo evidenziato e magari enfatizzato piccoli torti subiti, senza considerare che, a nostra volta, ci siamo comportati in modo riprovevole e forse offensivo, non vedendo o non volendo vedere “la trave” nei nostri occhi. Abbiamo pensato, forti di una certa posizione, di essere superiori ad altri, abbiamo ostentato supponenza non considerando le conseguenze dei nostri comportamenti. E questi ultimi, magari, hanno ostacolato la realizzazione di qualche progetto o di qualche aspirazione.
Al binomio “trave-pagliuzza” ecco quello “albero–frutti”. Solo un albero buono dà frutti buoni (“non si raccolgono fichi dagli spini”). Così è per la vita dell’uomo: i “frutti buoni” sono la concreta vicinanza al prossimo, l’interessamento non frettoloso verso le molte necessità di chi è nell’indigenza non solo materiale e non osa chiedere, magari per un malinteso senso d’orgoglio.
A volte, noi cristiani non ci rendiamo pienamente conto della autentica dimensione della carità nei confronti dei fratelli; riteniamo di aver fatto o di fare abbastanza rispondendo ad alcune richieste quasi sempre di tipo economico non considerando chi abbiamo di fronte, quali sono le sue reali necessità e, di conseguenza, non sappiamo comportarci con sensibilità e comprensione.
Altri “frutti buoni” possono essere le nostre parole, il nostro modo di “vedere” il prossimo da cui deve trasparire la sincerità delle nostre intenzioni nello stabilire una relazione che, comunque, ci offre la possibilità di incontrare un altro e il suo mondo.
Molti esempi di ”frutti buoni” ci vengono offerti dalle vite dei Santi e, per ricordarne brevemente alcuni, pensiamo a San Francesco: una scelta di estrema povertà in linea con il Vangelo, a San Giovanni Bosco: una vita dedicata ai giovani specialmente poveri e soli e, più vicino a noi, a Madre Teresa di Calcutta, che si è spesa giorno dopo giorno per gli ultimi della Terra. E i loro “frutti” sono sotto gli occhi di tutti e ne testimoniano la grandezza. Da questi esempi possiamo trarre incoraggiamento e slancio per essere cristiani veri.