Se ti ascolterà avrai guadagnato il tuo fratello
XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)
(Elisa Moro)
“Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo” (Mt. 18, 15). Una pagina pungente e diretta quella che il Vangelo di Matteo propone per la XXIII Domenica del Tempo Ordinario, che racchiude in sé la proposta graduale e innovativa della correzione fraterna.
Il Signore chiama a essere autentici “custodi” dei nostri fratelli (cfr Gen 4,9), instaurando relazioni caratterizzate da premura reciproca, da attenzione al bene dell’altro; tuttavia, sempre più sovente si assiste a quanto già San Paolo VI constatava nell’Enciclica Populorum Progressio, del 1967: “Il mondo è malato. Il suo male risiede nella mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli” (Populorum progressio, n. 66).
Attualmente si è assai sensibili al discorso della carità e della cura per il bene fisico e materiale degli altri, ad una certa forma di benessere e di appagamento di bisogni, ma le voci sembrano assottigliarsi sulle responsabilità spirituali verso i fratelli: l’indifferenza, il vero cancro del mondo di oggi, anche ecclesiale, che sembra soffrire di una sindrome di Peter Pan, viene smascherata da Gesù, poiché non si può chiudere gli occhi dinanzi ad uno sbaglio del fratello, pensando solo alla propria personale salvezza e non si può concepire di non essere coinvolti o di essere dispensati di fronte agli errori all’altro.
“Non bisogna tacere di fronte al male, di fronte ai fratelli che non seguono la via del bene”, così commentava Benedetto XVI in una lettera del 2012 scritta come riflessione quaresimale, denunciando come mondano quell’atteggiamento di buonismo e di falso rispetto, che spesso connota anche le comunità parrocchiali e religiose, menomandole della loro stessa linfa vitale, della “radice dell’amore che vivifica” (Crisostomo, LX, 3).
È proprio sul concetto di comunità che il Signore fa anche riflettere in questa densa pagina: “dove due o tre…” (v. 20), indicando però non la semplice vicinanza fisica dell’altro o la simpatia sentimentale passeggera, ma il radicamento in Lui come fondamento: Lui è il munus, il dono (comunità da cum-munus, il dono reciproco), che si offre e rende capaci di donarsi reciprocamente, di riconoscersi bisognosi di uno sguardo che ama e corregge, che conosce e riconosce, che comprende e perdona; solo nel Suo Nome si diventa quindi capaci di porgere la mano all’altro per riprendere il cammino verso la comune Meta.