La campagna elettorale dei partiti per le politiche 2023 (marzo-aprile) mette in crisi la linea della solidarietà nazionale, rendendo precaria la vita del Governo e delle stesse forze politiche (la trattativa sul sistema elettorale proporzionale è stata bloccata sul nascere).
I maggiori problemi vengono oggi dall’esplosione del M5S di Conte, ma permane lo scontro quotidiano tra Lega e Pd, mentre Berlusconi e Renzi auspicano un Draghi-bis senza i Grillini, anche per mettere nell’angolo i Democratici. Manca nei partiti di maggioranza quello spirito di collaborazione, di fronte alle gravi esigenze del Paese, sollecitato sempre da Mattarella e Draghi.
I Pentastellati, nonostante la scissione del ministro Di Maio, continuano ad essere divisi tra una componente radicale che vuole l’uscita dall’Esecutivo e un’area governista che intende continuare la collaborazione con Draghi, anche per non rompere l’alleanza politica con il Pd. In mezzo ai contendenti l’ex premier Conte tenta con difficoltà la linea “abusata” del partito di lotta e di governo. Sul decreto-aiuti abbiamo assistito al record di scelte bizantine: fiducia grillina al Governo alla Camera ma astensione sul provvedimento, al Senato – ove il voto è unico – ipotesi di astensione sulla fiducia, con innegabili ripercussioni politiche. Ancora una volta il nodo politico sarà nelle mani del Quirinale che, per evitare la crisi, potrebbe rinviare Draghi alle Camere per una verifica definitiva.
La confusione è grande: un esempio significativo viene dal foglio dell’editore De Benedetti (“Il Domani”) che, pur vicino a Draghi e al Pd, non esclude il voto a settembre, nonostante i sondaggi favorevoli al centro-destra. L’incertezza politica e i tatticismi accrescono l’inquietudine della pubblica opinione: in particolare un sondaggio del “Corriere della Sera” registra tra i cattolici praticanti un 45% di incerti o astenuti nel voto, una percentuale superiore alla media generale. Tra chi sceglie, le preferenze vanno al Pd di Letta e a FdI della Meloni, i due vincitori delle amministrative.
L’interesse generale del Paese – con la guerra russa all’Ucraina in pieno svolgimento, la ripresa della pandemia, la crisi energetica, il boom dell’inflazione… – esigerebbe la continuazione operativa dell’azione di Governo e Parlamento, secondo le linee emerse nel confronto tra Draghi e i sindacati: robusto taglio del cuneo fiscale per alzare i salari, nuovi rimborsi per il caro-energia, introduzione del salario minimo garantito, per tutelare soprattutto milioni e milioni di lavoratori precari, sottopagati, sfruttati. In tempi difficili è poi essenziale la questione della giustizia sociale e l’attenzione ai più poveri, senza chiudere le porte a chi fugge dalla guerra, dalla persecuzione, dalla fame, senza alcuna distinzione tra Ucraini e Afro-Asiatici.
Sulle diseguaglianze un’indagine del “Corriere della Sera” ha fornito cifre impressionanti sul crescente divario, all’interno di una stessa azienda, tra i top-manager e i lavoratori comuni. Oggi in Italia i numeri uno delle aziende (CEO) guadagnano 649 volte in più di un’operaio (una proporzione raddoppiatasi in vent’anni), mentre le retribuzioni medie dei dipendenti sono scese del 2,9%; tra i casi clamorosi quello di Carlos Tavares, Ceo di Stellantis (Fiat) con 19 milioni annui, ben 758 volte lo stipendio medio annuo di un operaio.
I partiti, per contrastare la disaffezione alle urne, dovrebbero dare la priorità ai temi reali della condizione umana, in una logica di servizio: i cittadini sanno che i tempi sono difficili e non si attendono miracoli; ma non possono entusiasmarsi alle discussioni sul futuro dei singoli leader.
Accanto ai temi economici e sociali meriterebbero un approfondimento anche i nodi “etici”, con un equilibrato rapporto tra diritti e doveri, senza confusione tra questioni diverse come l’aborto, lo jus scholae, la liberalizzazione della cannabis, il ddl Zan… Infine le forze politiche dovranno chiarire, entro marzo, le indicazioni delle alleanze: Letta dovrà scegliere tra M5S e i Centristi, il centro-destra tra la premiership alla Meloni e il ritorno a governi di unità nazionale.