(Mario Berardi)
Dopo il voto regionale e referendario i principali sondaggisti di Corriere, Stampa, La7 hanno testato l’orientamento politico nazionale: gli elettori confermano la fiducia al Governo Conte (60%), ma contestualmente segnalano la fragilità del sistema dei partiti (nessuna forza politica egemone, quattro formazioni nell’arco di 8 punti).
La Lega mantiene la prima posizione, ma con una perdita significativa dopo l’uscita dal governo per la crisi del Papeete (dal 37 al 24%). Il Pd tallona da vicino Salvini, ma è fermo al 20%, nonostante le aperture “ecumeniche” di Zingaretti. Il M5S è al 18%, quasi la metà dei voti delle Politiche, “umiliato” alle regionali, ma “salvato” dal referendum (rilanciato da Grillo). Con il 16% cresce Fratelli d’Italia della Meloni, che conquista dieci punti a scapito di Salvini, aprendo una concorrenza interna nella destra per la leadership.
Distanziati Berlusconi (6%), Renzi, Calenda e Speranza (tutti sul 3%).
Manca lo scenario delle grandi forze alternative o dei grandi antagonismi (De Gasperi – Togliatti o Prodi – Berlusconi), mentre la fragilità politica è accresciuta dai contrasti interni agli stessi partiti.
I maggiori conflitti riguardano le due forze vincitrici delle politiche 2018 e partner del primo governo della legislatura (il giallo-verde). I grillini sono a rischio di scissione, con tre correnti principali: quella governista di Di Maio (centrista), la sinistra del presidente della Camera Fico (che punta ad un’alleanza organica con il Pd), la destra del “movimentista” Di Battista, contrario all’alleanza con i Dem. Agli Stati generali del M5S, previsti per la primavera, è data per certa la sconfitta della componente anti-governativa, ma un’eventuale scissione metterebbe in crisi Conte, che sarebbe costretto a cercare aiuto nei berlusconiani scontenti o nel Gruppo misto: non un buon rimedio. Sul piano nazionale i grillini tengono per la linea referendaria, la legge sul reddito di cittadinanza, il rilancio della presenza pubblica in economia dopo la crisi provocata dal Covid.
Nella Lega, più che le vicende giudiziarie, influisce l’emergere di un forte dissenso interno sulla linea sovranista e filo-russa di Salvini. Il numero due, Giorgetti, ha gridato allo scandalo per l’astensione a Strasburgo sulla condanna di Lukaschenko, il dittatore della Bielorussia, chiedendo di lasciare l’alleanza con Le Pen e di avvicinarsi al Ppe della Merkel; Salvini ha risposto con un secco no a Berlino, ma ha accettato di formare una segreteria della Lega, anche per tacitare l’altra contestazione interna, quella istituzionale del governatore del Veneto Zaia. Il leader del Carroccio deve poi difendersi all’esterno dall’offensiva della Meloni, che punta a Palazzo Chigi (intanto è diventata presidente dei Conservatori europei, una formazione di destra diversa da quella lepenista).
A sinistra Zingaretti è tonificato dal voto regionale, ma il risultato non ha fermato il dissenso interno al PD. Sulla legge elettorale il segretario ha proposto il proporzionale, tenendo conto che non esiste oggi uno schieramento maggioritario in entrambi i poli; ma due padri nobili come Prodi e Veltroni lo contestano, forse sottovalutando l’attuale parcellizzazione delle forze politiche, non superabile con generiche ammucchiate o “marmellate”.
Zingaretti è criticato inoltre per la sua proposta di alleanza con i grillini a livello locale, per rafforzare il governo Conte, oggi l’unico possibile; ma diverse federazioni, a cominciare da Torino e dal Piemonte, si oppongono, preferendo liste civiche, ovvero formazioni neo-centriste. Il tutto mentre sui temi etici l’ecumenico Zingaretti si ritrova con varie posizioni laico-libertarie, anche in terra subalpina.
In questo contesto complicato, molti mass-media s’interrogano sul gradimento al premier Conte, nonostante il suo fulmineo passaggio da un governo giallo-verde a una coalizione giallo-rossa.
Evidentemente l’opinione pubblica teme la paralisi politica mentre urgono misure per la ricostruzione sociale ed economica, con altrettanta attenzione al risveglio della pandemia.
Il vero rischio per Conte è quello di galleggiare: per questo ha assunto impegni sulle pensioni (basta quota 100 dal 2022), sulla revisione del reddito di cittadinanza (non abolizione), sul superamento delle leggi Salvini sulla sicurezza…
Resta in sospeso il Mes, nonostante le urgenze sanitarie, perché i senatori grillini vicini a Di Battista potrebbero fare la crisi, insieme a Salvini e Meloni, rendendo indispensabile l’appoggio di Forza Italia, come accadde per i governi Letta e Renzi.