Il voto europeo ha confermato il Governo Meloni con il 47% di gradimento, in una consultazione “macchiata” tuttavia da un record di astensioni (un italiano su due ha “snobbato” le urne).
Il premier ha portato Fratelli d’Italia alle soglie del 30%, ha ottenuto oltre due milioni di voti personali, ha retto il confronto popolare mentre il leader francese Macron e il Cancelliere tedesco Scholtz hanno registrato drammatici rovesci (in Francia si torna a votare per le politiche il 30 giugno, a Berlino i Socialdemocratici sono al terzo posto dopo i Popolari e l’estrema destra filo-nazista).
Gli altri due partiti del centro-destra italiano hanno tenuto la “barriera del 9%”, con un leggero scavalco di Tajani su Salvini. Ma la campagna elettorale ha registrato profonde differenze in politica estera tra l’europeismo di Forza Italia e l’euroscetticismo della Lega, accresciuto dalla presenza del gen. Vannacci che ha difeso l’estrema destra tedesca (anche per questo il fondatore del Carroccio, Umberto Bossi, ha dichiarato di aver votato Forza Italia, non la Lega).
Alla Meloni toccherà un compito non facile di mediazione perché lo spostamento a destra del Parlamento di Strasburgo non ha intaccato la maggioranza di sostegno a Ursula Von der Leyen, formata da Popolari, Liberali, Socialisti e Democratici, Verdi. La premier dovrà scegliere tra la fedeltà ai Conservatori (di cui è presidente) che rifiutano alleanze con la sinistra e l’inserimento dell’Italia nel pacchetto di voto per la presidenza della UE, ottenendo incarichi di “peso”.
Sul piano interno il cammino dell’Esecutivo appare agevolato dal voto e dalla frammentazione dell’opposizione; più complesso l’iter delle riforme costituzionali (premierato elettivo, autonomia regionale differenziata) perché il probabile referendum popolare esige una maggioranza assoluta.
Nel “campo largo” il Pd e l’Alleanza Verdi-Sinistra hanno travolto gli amici-nemici grillini, crollati al 10% mentre la Schlein ha raggiunto il 24 (meglio di Letta e Zingaretti) e AVS quasi il 7%, con il contributo decisivo di Ilaria Salis. Secondo SWG i Pentastellati hanno “donato” 600 mila voti alle due formazioni della sinistra.
La segretaria del Pd ha condotto una campagna elettorale nettamente di sinistra, con la chiusura dei comizi in memoria di Enrico Berlinguer. Per la verità lo storico segretario del Pci raccolse oltre il 30% dei consensi, ma fu quasi sempre all’opposizione, tranne la breve parentesi del “compromesso storico” di Aldo Moro. Ora la Schlein è chiamata a scegliere tra una linea di alternativa radicale e la ricerca di alleanze per governare. In questa prospettiva il percorso non appare facile né con i grillini né con “l’armata” centrista duramente sconfitta.
I Pentastellati sono sconvolti dal dimezzamento dei voti; sono in discussione leadership e strategie: una componente chiede “mani libere”, come ai tempi di Grillo (con alleanza variegate, dalla Lega a Draghi al Pd), altri rilanciano il “campo largo” (il suo fallimento è una delle cause principali della vittoria in Regione Piemonte del Governatore forzista Alberto Cirio, con un consenso “quasi bulgaro”).
Per i Centristi la disfatta trova origine nella rottura fratricida Renzi-Calenda, ma le motivazioni sono più complesse: intese tattiche tra ex Popolari e Radicali, scelta del liberalismo di Macron (lontano dal filone della giustizia sociale), confusione sui temi etici… Resta scoperta un’area politica moderata e riformista gradita a milioni di elettori; prima del voto era stata espressa una proposta (on. Bodrato) per la rinascita del Partito Popolare di matrice sturziana, antifascista, progressista e autonoma; prevalse la scelta di una presenza nel Pd. Ma il nodo politico permane.
Allo stesso modo resta aperta per le istituzioni democratiche la sfida drammatica dell’astensionismo: alcuni grandi media – espressione della elite finanziaria – insistono sul successo bipolare dell’accoppiata Meloni-Schlein, come se il sistema parlamentare proporzionale fosse già stato cambiato. Ma, senza sminuire i voti di Giorgia ed Elly, va ricordato che FdI e Pd, insieme, raccolgono l’adesione di un italiano su quattro, con un’emorragia di astenuti che non si è fermata neanche il 9 giugno.
La crisi della politica, in una società complessa e pluralista come quella italiana, merita analisi più approfondite dei talk-show.