(Editoriale)
Il 20 luglio scorso la Congregazione per il Clero ha pubblicato una nota dal titolo “La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa”, che don Piero Agrano già ha commentato sul giornale del 6 agosto scorso.
Nasce una domanda. Come è vista e considerata la comunicazione, l’informazione e il ruolo dei giornali di ispirazione cattolica, ogniqualvolta viene citata la comunità cristiana e la parrocchia in quel documento?
La parrocchia è comunità comunicante e annunciante a tutti, e la comunicazione (che non è sinonimo di parlare) non è qualcosa di strumentale o accessorio, ma appartiene alla nostra stessa esistenza come parte costitutiva e originale.
Benché questi temi non siano tra le preoccupazioni del documento, che succederebbe se sostituissimo nel testo “parrocchia” con “giornale”? Troveremmo che anche i nostri giornali sono un “canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale più che per l’autopreservazione”, che giocano la loro sfida in mezzo alla comunità, anche civile, al di là dei limiti di quei pochi che oggi ancora frequentano la Chiesa, mettendo da parte la nostalgia del passato e puntando con audacia al futuro.
In caso contrario il rischio concreto è di cadere inesorabilmente nell’autoreferenzialità, nel dimenticatoio, destinandosi solo a piccoli gruppi.
Il cambiamento di mentalità che il documento chiede alle parrocchie e alle sue strutture non invoca la chiusura delle porte per preservare l’esistente del “pochi ma buoni”, ma l’esplosione missionaria che vuol dire, per noi dell’informazione, oltre a contenuti sostanziosi, a non essere rinchiusi in bui corridoi scarsamente frequentati, ma al contrario essere presenti e visibili sulla pubblica piazza.
Non c’è conversione che non debba tener conto delle risorse a disposizione, orientandole e utilizzandole in maniera sempre efficace. Anche quelle di natura propriamente giornalistica. Per evitare che la parola “missionaria” diventi un inutile orpello lessicale.