(Alessandro Masseroni)

Ancora una volta il Vangelo ci parla di “maestri” e autorità. Se nelle scorse settimane il parallelo era tra Gesù e il Battista – chi è il vero Rabbì? –, ora il confronto è con gli scribi. Se nel primo caso però l’autorità di Gesù emergeva sia per “fulgore” che per merito del Battista (“Io non sono degno di […] slegare i lacci dei suoi sandali”, Mc 1,7), qui gli scribi si dimostrano ben restii a compiere il medesimo passo indietro di Giovanni.

L’episodio si svolge a Cafarnao, uno dei villaggi più importanti per il ministero di Gesù, dove si dice fossero nati gli stessi fratelli, poi apostoli, Simone e Andrea, chiamati nelle due precedenti domeniche. Gesù si muove dunque in un contesto “familiare” ai suoi discepoli. Subito dopo averli chiamati, li “riporta a casa”, alla loro Vera casa, a quella che egli definisce: “La mia casa [che] sarà chiamata casa di preghiera” (Mc 11,17): la Sinagoga. Come “osservante della legge”, Gesù va in Sinagoga il giorno di sabato e, ci riporta il testo, “insegnava”.

Questo insegnamento però stupisce i suoi ascoltatori i quali applicano subito un termine di paragone: “Egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi” (Mc 1,22). Tra tante parole, la sua Parola tocca le corde del più intimo di quegli uomini, esattamente come era accaduto per Simone e Andrea, “ed erano stupiti”.

C’è qui un elogio dell’arte dello stupirsi, del tornare bambini e lasciarsi meravigliare da ciò che ci sta intorno senza pretendere una sempre maggior novità, ma solo ripulendo (come San Paolo nella sua conversione) i propri occhi dalle “squame” che ci rendono ciechi. Chissà quante volte avevano sentito quei brani della Scrittura, eppure, c’è Qualcuno che proclamandoli è ancora capace di muovere qualcosa in loro e questo “perché insegnava come uno che ha autorità”.

Che cosa strana per noi oggi! Autorità oggi è un termine che proprio “non ci va giù” e forse perché non abbiamo mai totalmente risolto il rapporto con quel “secolo breve” seppur durissimo che è stato il ‘900. Oggi, l’autorità viene spesso confusa con “autoritarismo”, dimenticando che il mondo vive di autorità (a partire dalla famiglia: “onora il padre e la madre”). La questione allora non è l’autorità in sè, ma il modo con cui essa si acquisisce e viene esercitata. Gesù, ora, trae questa autorità dal suo rapporto con il Padre, da cui sgorga la pienezza della Verità annunciata. Insomma, Gesù ci sta insegnando “come essere testimoni”: si è autorevoli perché si è credibili!

Autorevolezza però, non vuol dire neanche mediatizzazione. Ce lo dice il demonio, che cerca di rivelare “chi sia realmente” Gesù. “Taci!”. Senza se e senza ma, Gesù lo zittisce immediatamente perché riconosce che quella è una tentazione: la tentazione del successo. Gesù non è venuto per auto-proclamarsi Re, perché sa bene che una e una sola è la sua missione: annunciare il Padre, ovvero il Regno di Dio.

“Per questo” infatti dice “sono stato mandato” (Lc 4,43). Impariamo allora da Gesù quell’umiltà che ci fa stare, direbbe Don Bosco, con i piedi saldamente ancorati a terra e con lo sguardo fermamente rivolto al Cielo!

 

Mc 1,21-28

In quel tempo, Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafàrnao,] insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi.
Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!».
E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui.
Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!».
La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.