(elisa moro) –Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi(Mt. 19, 21).

E’ l’invito che il Signore rivolge ad ogni credente, di ogni epoca e luogo.

Il giovane Antonio, nato nel villaggio di Coma intorno al 250 d.C., in Egitto, da un’agiata famiglia di agricoltori, ascoltò, nel corso di una Santa Messa, con attenzione questo consiglio evangelico; a differenza di quel giovane che, come lui, “aveva molti beni”, scelse una sequela radicale di Cristo.

Vendette dunque i suoi beni, affidò la sorella a una comunità di vergini e si dedicò alla vita ascetica davanti alla sua casa e poi al di fuori del paese.

Una sequela itinerante, che lo condusse ad una progressiva essenzialità nella scelta eremitica, fino al deserto, in un fortino, ed alla contemplazione assoluta e silenziosa.

Tornano alla mente le parole di Don Tonino Bello su cosa voglia dire vivere il “deserto”: «Il deserto ti spoglia. Ti riduce all’essenziale. Ti decostruisce. Ti priva del guardaroba. Ti toglie di dosso gli abiti che finora hai considerato come assoluti, e ti fa capire che la tua identità va ben oltre le livree dell’appartenenza. Ti fa sentire povero, insomma. Come una bisaccia vuota» (Preghiere, San Paolo, 2001). Una conformazione assoluta a Cristo, in cui tutto quello che conta è “essere”, senza più nulla possedere.

Sant’Antonio, vissuto fino al 356 d.C., oltre che anacoreta – così venivano chiamati gli eremiti al tempo – fu anche taumaturgo: ben presto, infatti, molti uomini accorsero al suo fortino, per chiedere lui il miracolo della guarigione da malattie e possessioni demoniache.

La Chiesa lo ricorda come santo protettore degli animali domestici, patrono dei maiali e della stalla, dei salumai e dei macellai. La sua figura fu così importante che Sant’Antonio divenne il riferimento spirituale per molte comunità di eremiti, ancora oggi.

La vita eremitica – eremos significa appunto deserto – è oggi attuale, attraente e pro-vocante.

Si tratta di una scelta religiosa e spirituale apparentemente estrema, eppure la loro preziosa presenza nella Chiesa si sta diffondendo, seppure lentamente, in Italia che nel mondo.

Gli eremiti fanno deserto nel loro cuore per poter vivere l’intimità con Dio.

Spesso non si tratta di un deserto fisico, ma di un ritirarsi nel silenzio: l’eremita si “apparta”, si “ritira” dal rumore che disperde, per poter ascoltare il primigenio soffio di Dio racchiuso nel cuore, che è vita che “raduna”, che “avanza”, anche nella natura che lo circonda.

Nel silenzio e nell’abbandono confidente è la vostra forza(Is. 30, 15). Commentando la necessità del silenzio, Madre Anna Maria Canopi, prima Badessa dell’abbazia benedettina Mater Ecclesiae dell’Isola di San Giulio, diceva: “lo scopo di questa solitudine silenziosa è l’ascolto del Signore che parla di nuovo al cuore della Chiesa e dell’anima nostra”.

L’esempio di Sant’Antonio, pioniere del monachesimo, “dall’ eremo alla stalla” – parafrasando la popolarità che ha avuto soprattutto nel mondo agricolo – è di stimolo per ogni credente di oggi: quella del Santo Abate è la storia di un uomo che visse fino in fondo l’appartenenza a Dio, in una coerenza radicale al Vangelo, testimoniando la necessità di riconoscersi, nel silenzio, creature amate e salvate dall’amore di Cristo.

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Come sappiamo, la memoria liturgica di S. Antonio Abate è il 17 gennaio, ma le comunità ecclesiali incominciano da oggi a onorare il Padre fondatore del Monachesimo cristiano: si proseguirà nelle prossime domeniche e torneremo a documentare i tanti momenti in cui la Parrocchia diventa punto di riferimento per l’intera comunità civile.

Come tradizione, la Festa di Sant’Antonio Abate (del deserto) celebra anche il rapporto tra uomo e natura, tra i tanti soggetti e protagonisti della Creazione.

Di nuovo, occorre richiamare la Parola (Gen 2, 4-9;15):

“Quando il Signore Dio fece la terra e il cielo, 5 nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata – perché il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e nessuno lavorava il suolo 6 e faceva salire dalla terra l’acqua dei canali per irrigare tutto il suolo -; 7 allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente.
8 Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. 9 Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare.

15 Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse”.

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Anche per questo, sono molti i valori che questo giorno, dunque, richiama, a cominciare da quello vissuto sempre intensamente nei campi, luogo di lavoro comune tra l’uomo e tanti animali che ne hanno condiviso le fatiche.

Non meno importante, però, il rapporto tra l’uomo e gli animali cosiddetti d’affezione, i nostri piccoli amici a quattro zampe, soprattutto cani e gatti, che vivono con noi tutti i giorni.

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Dopo la profonda riflessione di Elisa Moro, iniziamo, dunque, questa prima carrellata, con il primo dei tre appuntamenti odierni, 14 gennaio.

Ad Ivrea, presso la Chiesa di San Lorenzo, tradizionale ritrovo di animali, grandi e piccoli, a cominciare dagli attacchi veramente splendidi,

con tanti cavalli curati con grande amore: molto belli anche quelli montati, dai superbi Frisoni al piccolo pony Furia, che vediamo nelle fotografie.

Come sempre, anche tanti altri amici a quattro zampe: cani di varie taglie e razze, uniti, quelli con pedigree, così come quelli “fantasia”, dal comun denominatore dell’amore per l’uomo.

Felice e veritiera l’intuizione di Artur Shopenauer: ”Chi non ha mai avuto un cane non sa cosa voglia dire essere amato”.

I Priori Maurizio Perinetti e Pierluigi Percivalle, con i vice Priori, Luca Bocca e Alex Vallino, hanno accolto il Vescovo di Ivrea, Mons. Edoardo Aldo Cerrato, che ha benedetto sia gli animali, sia il folto gruppo di vespisti, che ha allietato ancor più la mattinata.

Presente il Sindaco Matteo Chiantore con la sua famiglia, di cui fa parte il cagnolino Jhonny, naturalmente molto attento per l’occasione.

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Alle 11,30 il Parroco emerito di San Lorenzo, Don Renzo Gamerro, ha celebrato la Santa Messa, che ha concluso nel nome del Signore la mattinata.

Ora vi lasciamo con la gallery.

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