Matteo Maria Bessone, classe 1984, è cresciuto ad Agliè. Laureatosi in Relazioni Internazionali seguendo la sua passione per le culture e le lingue, ha avuto alcune esperienze di lavoro, la più significativa in una multinazionale tedesca del settore auto.
Matteo Maria è cresciuto in una famiglia e una ricca rete di relazioni diverse, molte delle quali cristiane.
Racconta di aver capito di essere di fronte a una vera vocazione con il susseguirsi di alcuni eventi personali e di comunità che gli hanno fatto toccare con mano la presenza reale e amorevole di Dio nella sua vita e in quella di chi gli era accanto, facendogli trovare risposte impensate ed impensabili.
Per lui è stata “l’irruzione di un Mistero che ci supera, ma ci è vicino: questo Mistero ha un nome ed è la persona di Gesù”.
Da qui la necessità di approfondire la Parola di Dio.
Grazie alla Fraternità di Nazareth ha potuto fare discernimento e liberare la sua risposta di adesione alla vocazione, che ha sentito collegata alla necessità di dare testimonianza dell’amore ricevuto.
Nel suo cammino hanno giocato ruoli importanti “don Domenico Machetta e suor Luisa, la mia famiglia e i miei tanti amici che ringrazio e a cui chiedo continuo sostegno”.
Ecco la sua testimonianza.
“Quando mi viene chiesto di dare ragione della mia scelta per il cammino nella Chiesa, risulta spontaneo fare memoria della mia vita passata: in questo modo, prima della decisione pubblica che si è concretizzata nell’avvio del cammino da seminarista, è stato per me più chiaramente visibile il passaggio e il tocco di Dio in innumerevoli avvenimenti personali che mi hanno poi condotto liberamente ad arrendermi, per così dire, alla chiamata per dedicare tutta la vita alla sequela di Cristo e al servizio del prossimo nella Chiesa. Più di recente, guardando a questi anni di formazione sia teologica sia spirituale, la scelta si è potuta chiarificare e stabilizzare, nonché purificare da idealizzazioni frutto degli slanci naturali che seguono sempre questi momenti della vita così densi di emozioni. Se ripenso alle tante liturgie, meditazioni, ritiri, pellegrinaggi e incontri con ragazzi, giovani, coppie e anziani non posso non riconoscere come in ogni passaggio di questo mio cammino di formazione sia stata sempre presente la consapevolezza di non voler essere da nessuna altra parte. Senza dubbio a volte è insorta la pesantezza o stanchezza, pensando alla quotidianità che non sempre, come è ovvio, può essere appagante in termini di risultati concreti e visibili immediatamente, ma c’è sempre stata in me una sostanziale gioia di fondo che in passato invece era più altalenante. Se devo riflettere su questa impressione, mi viene da pensare a quando spesso mi dicono che ho sempre il sorriso in volto: questo è perché mi trovo bene nella situazione in cui sono, non senza le inquietudini che umanamente agitano il cuore, ma con una serenità che deriva dal sentirmi sostenuto e accompagnato. Un breve accenno lo devo fare sulla bellezza della liturgia vissuta in comunione con altri: non di rado mi è capitato di sperimentare concretamente come la liturgia cristiana metta davvero l’uomo nella giusta posizione con se stesso, gli altri e Dio. Questi anni di studio e approfondimento mi hanno fatto sperimentare come la liturgia adombri già qui e ora la bellezza di come saremo tra di noi nell’eternità, ovvero di come saremo pienamente noi stessi, realizzando il progetto di Dio sull’uomo. Mi auguro che questo tipo di vissuto possa essere sempre più annunciato e condiviso soprattutto tra i ragazzi e i giovani di cui conosco le ansie e le inquietudini in questa epoca rapida, sempre più travolgente e spietata, poco orientata ai beni ultimi e troppo spesso ripiegata su quelli penultimi e passeggeri. Riflettendo sulla prossima ordinazione diaconale, sarà senza dubbio un evento importante nella mia vita in cui si chiuderà un percorso formativo, ma che rappresenterà anche l’avvio di un nuovo cammino, dove prendere responsabilità verso me stesso, Dio e i fratelli. Se già l’etimologia stessa del termine diacono suggerisce l’impegno orientato al servizio, mi viene spontaneo pensare al modo di vivere questo nuovo ministero nella forma della donazione agli altri, forma su cui la scelta stessa da me fatta si deve fondare. Peraltro, se c’è una cosa che ho capito in questi anni e che mi sento di condividere con tutti, soprattutto con i più giovani che vogliono decidere come impegnare la propria libertà, è che non siamo mai così noi stessi come quando ci diamo agli altri. Tutti possiamo riconoscere come ogni individuo non si realizzi al di fuori delle sue relazioni e, a conferma di questa evidenza, abbiamo la vita stessa di Gesù che è venuto a farci vedere concretamente e in prima persona, da vero Dio e vero uomo, come chi dona la vita per gli altri la avrà in eterno. È con questo spirito che mi sento di dire: Eccomi Signore, per fare il tuo volere”.
Alessandro Codeluppi è nato in una famiglia numerosa, quarto di quattro figli, a Carpi in provincia di Modena il 2 aprile 1981, crescendo poi a Correggio (RE), dove ha vissuto fino al suo trasferimento ad Ivrea.
Dopo la maturità linguistica, si è laureato in Ingegneria Gestionale, con specializzazione informatica.
Ha poi studiato Teologia conseguendo il Baccellierato. Dal 2014 fino al suo arrivo ad Ivrea, Alessandro ha lavorato come programmatore informatico.
Negli anni degli studi teologici si è avvicinato al mondo dello scoutismo cattolico nell’AGESCI svolgendo vari servizi nei diversi reparti.
Ad Ivrea è stato accolto nell’allora Comunità in Formazione dell’Oratorio di San Filippo Neri di Ivrea e, in seguito all’Erezione Canonica da parte del Santo Padre, dal dicembre 2022 anche Alessandro Codeluppi è a tutti gli effetti Oratoriano.
Insegna informatica in alcune scuole superiori: all’Istituto “Federico Albert” di Lanzo Torinese nell’anno scolastico 2021-22 e poi al Liceo Martinetti di Caluso e al Cena di Ivrea.
Considera l’insegnamento luogo prezioso di incontro e testimonianza per i giovani, per cui continuerà ad essere docente, non solo dal punto di vista professionale, ma soprattutto come apostolato.
Ecco la sua testimonianza.
“La mia vocazione è nata ed è germogliata come una somma di fattori: una sinergia di esperienze di vita, di volti, di incontri, di letture e di studio. Venendo ordinato a 42 anni suonati non sono certo un ragazzino: la mia storia non è stata priva di fallimenti e di cadute, così come di successi e di resurrezioni. La mia vita è stata basata su alcune relazioni fondamentali: la mia famiglia e i miei fraterni amici di infanzia, che hanno accompagnato i miei passi di fede, pregando e servendo il Signore nelle esperienze quotidiane, nell’Arciconfraternita del Santissimo Sacramento di Correggio prima e nell’Ordine di Malta poi. A Lourdes, un giorno, ho iniziato a sentire nel mio cuore un germoglio, un desiderio di pienezza e di radicalità che si è concretizzato nella volontà di diventare sacerdote. Il Signore ha accettato i miei no e le mie fughe, ma non ha mai smesso di cercarmi e, alla fine, ho dovuto arrendermi alla sua amorevole fermezza. Come Giona, ho rifiutato la prima chiamata e ho cercato di sommergere la voce che mi chiamava e mi diceva seguimi con gli impegni, con il lavoro, persino con un’automobile sportiva. Ogni palliativo di felicità però non poteva nascondere quel Volto che – seppur non osassi ammetterlo in quegli anni di fuga, ma anche di crescita – mi aveva fatto innamorare: come Giona potevo scappare, ma le tempeste che si creavano in me erano segno che Qualcuno non aveva gettato la spugna nei miei riguardi. Gli anni lontano dalla strada verso il sacerdozio sono stati comunque accompagnati dalla continua preghiera dei miei amici; fra di essi ho avuto la grande gioia di vederne uno, il caro Andrea Plichero, diventare don Andrea. Il suo sì definitivo ha fatto incrinare quella maschera (di vetro) che mi ero costruito e, quando qualche tempo dopo mi propose di incontrare il vescovo Mons. Cerrato, mi è stato naturale rispondere: Volentieri! Il vescovo Edoardo ha, con paterna amorevolezza, scoperchiato e ridato un nome chiaro ai miei desideri reali e – con l’approvazione di Mons. Massimo Camisasca, ai tempi Vescovo di Reggio Emilia – mi ha accolto ad Ivrea in quella che era ancora Comunità in Formazione dell’Oratorio di San Filippo Neri. Non nascondo, col senno di poi, che è stata una bella scommessa: rinunciare ad un lavoro sicuro e a tutte quelle piccole certezze che avevo costruito ha richiesto un atto di affidamento al Signore non indifferente; ma sapevo a chi ho dato la mia fiducia (2 Tm 1, 12). Prendendo in prestito le parole a S. John Henry Newman, bastava un passo (“one step enough for me”). A questo punto la Provvidenza ha fatto il resto: la fraterna accoglienza dei sacerdoti della Comunità, p. Andrea, p. Riccardo, p. Samuele, la decisione di insegnare non religione, ma informatica, i fedeli legati alla chiesa di San Maurizio che mi hanno circondato immediatamente di un affetto che ha commosso anche i miei famigliari la prima volta che sono passati a trovarmi a Ivrea e, in generale, il sentirmi nel posto giusto in tutta naturalezza, come se fossi nato per questo tipo di vita. Infine l’Erezione Canonica, avvenuta l’8 dicembre scorso e, con essa, l’approvazione della Chiesa universale. Ora si apre l’ultima fase del cammino verso il Sacerdozio: quella del Diaconato. La Luce Gentile che mi ha condotto fino a qui continua ad accompagnarmi. È un’altra scommessa a cui il Signore mi invita: quella di testimoniare ad altri (in particolare ai giovani, agli studenti) che Cristo è realmente la roccia salda su cui costruire la propria vita, che Fede e Ragione sono concordi nel portare a Dio… anche per il loro insegnante di informatica”.
Redazione Web