Pubblichiamo il primo di due articoli sulla figura di San Giuseppe; il secondo sarà on line il 19 marzo prossimo.
Buona lettura e buon proseguimento di Quaresima
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(elisa moro) – “Giuseppe fu quindi di tanta nobiltà che, in un certo modo, se ci è permesso esprimerci così, diede la nobiltà temporale a Dio in Nostro Signore Gesù Cristo” (Sancti Bernardini Senensis Sermones eximii, vol. IV).
San Giuseppe: molto si può scrivere sul patrono dei padri ma anche di falegnami e carpentieri, dei senzatetto e persino dei Monti di Pietà e relativi prestiti su pegno.
L’8 dicembre 1870, papa Pio IX lo ha proclamato Patrono della Chiesa universale.
San Giovanni XXIII gli affidò il Concilio Vaticano II, mentre papa Francesco ha voluto inserire il suo nome nel Canone della messa.
Il nome Giuseppe, già presente nell’Antico Testamento, è di origine ebraica e significa “Dio aggiunga”, o per meglio sottolineare l’intera vicenda che caratterizza la sua stessa vita, “aggiunto in famiglia”, quasi a rimarcare quanto la preziosa conclusione della genealogia secondo San Matteo riporta: “Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo” (Mt. 1, 16).
Giuseppe, proveniente da una storia caratterizzata da precise vicende umane, è “aggiunto”, inserito in un avvenimento più grande ed universale, passando da una regalità di provenienza ad una eterna e gloriosa, nel Regno dei Cieli.
La stirpe di Davide.
La professione del padre putativo di Gesù, quella del τέκτων (téktôn), del carpentiere, non deve far dimenticare un altro aspetto, spesso volontariamente omesso, misconosciuto o minimizzato dai teologi contemporanei.
Giuseppe di Nazareth era discendente dell’illustre stirpe davidica, dunque appartenente alla nobiltà: nelle sue vene scorreva sangue regale.
Del resto, il santo patriarca, nobile e artigiano – come sottolineato da Papa Leone XIII nell’enciclica “Quamquam pluries” – venne scelto da Dio proprio per garantire a Gesù, il Messia, la discendenza davidica, così come profetizzato nell’Antico Testamento: “Davide non sarà mai privo di un discendente che sieda sul trono della casa d’Israele” (Geremia 3, 17); “ecco verranno giorni – dice il Signore – nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto, che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra” (Geremia 23, 5) e ancora “lo scettro non sarà rimosso da Giuda (regione di origine del casato di Davide), né sarà allontanato il bastone del comando dai suoi piedi, finché venga colui al quale esso appartiene e a cui ubbidiranno i popoli” (Geremia 49, 10).
L’ascendenza davidica di Giuseppe venne sempre tenuta in gran conto dai padri della Chiesa.
Del resto, la Tradizione gli attribuisce il titolo di Proles David inclita, inclita prole di Davide; si può poi riflettere sulla questione attraverso alcuni scritti di San Bernardino da Siena: “Nacque egli di stirpe patriarcale, regale e principesca […]. Quindi san Matteo elenca in linea diretta tutti questi padri da Abramo fino allo sposo della Vergine, dimostrando chiaramente che in lui sfociò tutta la dignità patriarcale, regale e principesca” (Sermones eximii, vol. IV).
Secoli più tardi, San Pier Giuliano Eymard scrisse:
“Nelle vene di san Giuseppe scorre il sangue di Davide, di Salomone, e di tutti i nobili Re di Giuda e se la sua stessa dinastia avesse continuato a regnare, lui sarebbe stato l’erede del trono e avrebbe dovuto occuparlo. […] San Giuseppe ricevette nel Tempio un’accurata educazione e così Dio lo preparò a diventare un nobile servitore del suo Figlio, il cavaliere del più nobile Principe, il protettore della più augusta Regina dell’universo” (dagli Scritti).
Giuseppe dona a Cristo una discendenza umana, lo fa entrare in una storia concreta, fatta di volti e nomi, di luci e ombre, che il capitolo primo del Vangelo di Matteo riporta nella lunga genealogia.
A Betlemme, in particolare, si può scorgere una curiosità connessa a questa genealogia di nomi della lunga discendenza davidica: nella Basilica della Natività, nel luogo che la tradizione cristiana considera quello della nascita di Gesù, si trova una stella a quattordici punte, simbolo di questa genealogia davidica e richiamo alla somma che si ottiene dalle consonanti ebraiche del nome di Davide (d-w-d).
Una corona in cielo.
Giuseppe: figura centrale nella stessa opera redentrice del Figlio.
Di lui ha scritto San Giovanni Paolo II, nell’esortazione Redemptoris Custos:
“Egli divenne un singolare depositario del mistero “nascosto da secoli nella mente di Dio” (cf. Ef 3,9), come lo divenne Maria…Di questo mistero Giuseppe è insieme con Maria il primo depositario. Insieme con Maria — ed anche in relazione a Maria – egli partecipa a questa fase culminante dell’autorivelazione di Dio in Cristo, e vi partecipa fin dal primo inizio” (RC, n. 5).
È un reale coinvolgimento di tutto il suo essere, che lo trasforma:
“Proprio a questo mistero Giuseppe di Nazaret “partecipò” …coinvolto nella realtà dello stesso evento salvifico, e fu depositario dello stesso amore, per la cui potenza l’eterno Padre ci ha predestinati ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo” (RC, n. 1).
Non si può non immaginare la Gloria che il Figlio ha riservato allora a Colui che in terra ha svolto il prezioso servizio di padre putativo, partecipando, come la Santa Vergine, al mistero stesso della salvezza.
Nel corso dei secoli non sono infrequenti gli autori che hanno ipotizzato una sorta di Assunzione del Santo, equiparandolo, per i meriti e per la straordinaria vita, alla Madonna.
In particolare, soprattutto nella cultura spagnola e nell’ambito carmelitano, San Giuseppe è stato spesso raffigurato come incoronato, rivestito di abiti regali o con lo scettro, a rimarcare la sua origine nobile, ma anche la regalità conferita in Cielo dal Figlio (ne è un esempio il dipinto messicano in cui San Giuseppe è raffigurato incoronato da Dio Padre, dal Figlio e dalla Vergine).
Ecco quanto scriveva, sulla questione, san Francesco di Sales nel suo “Sur les vertues de st. Joseph” (édit. d’Annecy, t. VI, p. 363):
“Che ci resta da dire ormai se non che questo glorioso Santo ha tanto credito nel Cielo presso Colui che lo ha tanto favorito elevandolo al cielo in corpo ed anima; e ciò è tanto più probabile in quanto noi non abbiamo di lui nessuna reliquia qui in terra: e mi sembra che nessuno possa dubitare di questa verità. Come infatti avrebbe potuto rifiutare questa grazia a S. Giuseppe Colui che gli era stato obbediente tutto il tempo della sua vita? Senza dubbio, quando Nostro Signore discese al Limbo, Giuseppe gli parlò così: Mio Signore io vi accolsi tra le mie braccia. Ora dunque che voi dovete andare al Cielo, portatemi con voi. Se vi ricevetti nella mia famiglia, ricevetemi nella vostra…come ho avuto cura di nutrirvi e condurvi nel corso della vostra vita mortale, abbiate cura di me e conducetemi nella vita immortale”.
Alla stessa idea sembrava credere lo stesso Giovanni XXIII, che, nell’omelia pronunciata nel maggio 1960 per la canonizzazione di san Gregorio Barbarigo, si riferiva prudentemente alla “pia credenza”, cioè all’idea antica secondo la quale sia san Giovanni Battista sia san Giuseppe sarebbero già risorti in corpo e anima e sarebbero entrati con Gesù in Cielo, all’Ascensione.
Il Pontefice si riferiva, ovviamente, ai misteriosi versetti di Matteo in base ai quali“i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono. E, uscendo dai sepolcri, entrarono nella Città Santa e apparvero a molti” (Mt 25, 52 s.)
Al di là della questione prettamente teologica, la stessa devozione a san Giuseppe si è sviluppata nel popolo cristiano in maniera così sorprendente e secondo leggi così ammirabili che è impossibile non riconoscerne l’opera della divina Provvidenza.
Giuseppe, uomo giusto; Santo d’una regalità eterna e universale: volgendo lo sguardo a Lui, non si può non udire la voce della Scrittura:“Beato l’uomo che sopporta la prova; perché, dopo averla superata, riceverà la corona della vita, che il Signore ha promessa a quelli che lo amano” (Giacomo 1,12).
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