Eco grandissima ha suscitato su giornali locali e tg regionali l’incontro con Agnese Moro, Adriana Faranda e padre Guido Bertagna dello scorso 24 novembre.
Al mattino, al Cinema Politeama, i 425 posti non sono stati sufficienti a contenere tutti gli studenti delle superiori che avevano fatto richiesta e alcune classi hanno dovuto seguire in video conferenza.
Anche per noi volontari è stato possibile seguire l’incontro in video. Alla sera all’Auditorium “Mozart”, 300 posti, parecchie persone non sono potute entrare…
Saranno però disponibili le videoregistrazioni di entrambi gli incontri.
Gli spunti di cui far tesoro sono immensi per la società civile, per il carcere e anche per noi volontari penitenziari, su tantissimi temi: dall’uso della violenza in tutti i campi, alla capacità di ascolto e dialogo per risolvere i problemi scottanti della realtà attuale, dal carcere punitivo alla giustizia riparativa, dal dolore atroce delle vittime a quello di chi ha commesso il reato…
Il tempo della detenzione è una “parentesi” più o meno lunga tra la vita di prima dell’arresto e quella del fine pena.
Parentesi che per alcuni è solo attesa, per altri incattivimento, che farà sì che non vengano restituite alla società “persone” in grado di reinserirsi, come prevede invece la nostra Costituzione.
Agnese Moro è stata categorica nell’affermare che la giustizia penale deve fare il suo percorso e sanzionare chi commette reato, ma la pena inflitta “non cancella il dolore, la rabbia, la disperazione, il rancore… non restituisce quello che ti è stato tolto… La sofferenza di un altro (il colpevole) non cura il mio dolore (la vittima)”.
La giustizia riparativa invece, come dice il nome, “ripara” le lacerazioni profonde, libera ciò che si è cristallizzato dentro e permette l’incontro di due dolori, quello della vittima e quello di chi ha commesso il reato.
Per arrivare a questo bisogna accettare di fare un lungo cammino insieme, di presentarsi “disarmati” per saper davvero ascoltare l’altro, cioè “far posto all’altro” (parole testuali di padre Bertagna).
Per Agnese e Adriana è stato un percorso durissimo “nell’affrontare il passato con una capacità di ascolto-accoglienza: io ti accolgo anche quando non ti comprendo fino in fondo” (da “Il libro dell’incontro”, che racconta il loro lungo percorso).
Non è forse valido per ciascuno di noi in tutte le relazioni interpersonali e tra i tanti popoli in guerra per vincere la spirale della violenza da cui è sempre più difficile tornare indietro?
Per l’istituzione carceraria è necessaria però una radicale trasformazione che metta al centro la ricostruzione della persona privata della libertà, con un cammino di presa di coscienza delle proprie responsabilità e inserendo ciascuno in percorsi lavorativi anche di giustizia riparativa, fornendo e/o sviluppando competenze che permettano di reinserirsi nella società a fine pena e non tornare a delinquere.
Il tasso di recidiva (70% in Italia), per chi esce dal carcere senza aver riempito in modo costruttivo quella parentesi buia della sua vita, è decisamente più alto di quella di altri Paesi, in cui ci sono forme alternative alla pura e semplice applicazione della pena come restrizione…
“Non credete mai, quando vi dicono che non c’è alternativa…!”: è questo il monito lasciato agli studenti al termine dell’incontro riservato a loro.
Margherita Genta
Redazione Web