Il Cardinale Pietro Parolin (nella foto) è il Segretario di Stato Vaticano. Il 15 dicembre scorso era ad Alba per l’ordinazione episcopale di Marco Mellito che il Papa ha nominato Segretario del C9, il Consiglio di cardinali che aiutano il Papa nel governo della Chiesa. La Gazzetta d’Alba ne ha approfittato per rivolgergli alcune domande sulla Chiesa, il Papa e la situazione politica. Intervista di Giusto Truglia, testo diffuso da Agenzia Giornali Diocesani.
Eminenza, come si sta muovendo il C9, considerando i vari scandali che hanno investito la Chiesa?
«Attualmente è un C6 perché hanno concluso il loro mandato alcuni cardinali e il Papa procederà – immagino – a nominare dei nuovi membri. Ma questo io non glielo so dire perché è un Consiglio di cardinali che fa capo direttamente al Papa e lui ne determinerà la composizione. All’inizio era C8 poi è diventato C9. Ma l’idea è di una maggiore collegialità nella Chiesa, di un esercizio del ministero petrino coadiuvato da questo gruppo. Il ruolo principale dei cardinali è di essere consiglieri del Papa e lui ha voluto attorniarsi di questo gruppo perché lo potessero consigliare. Lo scopo del C9 come pensato da papa Francesco era quello di aiutarlo nel governo della Chiesa universale. Di fatto in questi anni ci si è concentrati sulla riforma della Curia perché sembrava che fosse quello uno dei temi più importanti da affrontare».
Anche se c’è chi sussurra che la riforma si sia bloccata.
«La riforma non si è bloccata. È già stata avviata e realizzata. I grossi cambiamenti sono stati già introdotti nella Curia romana e sono soprattutto la segreteria per l’economia e tutti i nuovi organismi che fanno capo al settore. Poi sono stati accorpati alcuni dicasteri e si sta lavorando su altri. Adesso si tratterà di dare omogeneità attraverso la nuova costituzione apostolica che sostituirà la Pastor bonus. Oltre a portare avanti i princìpi ispiratori della Pastor bonus (che sono quelli del Concilio), si vuole affermare una maggiore collegialità della Curia, con un servizio non solo al romano Pontefice ma anche alle Chiese locali, a beneficio di tutti, evitando una certa autoreferenzialità della Curia».
Non passa giorno che il Papa non venga attaccato. E si parla di un possibile scisma nella Chiesa.
«Io spero che questo non succeda. Anche se questo è uno dei grandi problemi con cui la Chiesa si è sempre trovata nei secoli. Certo, oggi si è arrivati – e di questo mi dispiace molto – anche a degli attacchi molto forti e personali, molto irriguardosi nei confronti del Papa. Ci sono persone che non accettano le aperture che lui sta facendo nel senso di un ritorno all’essenzialità e radicalità evangelica. Papa Francesco vuole dare alla Chiesa un volto evangelico, vuole che la Chiesa sia trasparenza del Vangelo e questo crea qualche resistenza, qualche reazione».
Anche tra chi dice di rifarsi al Vangelo.
«Certamente, ma il problema è quale interpretazione si dà al Vangelo. Dobbiamo sempre essere coscienti della distinzione tra la Tradizione con la T maiuscola – alla quale la Chiesa non può venir meno, perché è parte costituiva di quello che la Chiesa è – e le tradizioni accumulate nel tempo, che magari rispondevano alle necessità del tempo, ma forse oggi devono essere abbandonate. Semplificando al massimo, il Papa dice che non ci si può appellare al principio che si è sempre fatto così».
Lei ha servito la Chiesa nella diplomazia, constatando i conflitti e le guerre nel mondo. Come cristiani dobbiamo rassegnarci a questa situazione?
«Credo che il conflitto sia legato al peccato originale, a questo squilibrio che c’è nel cuore dell’uomo e che poi si traduce nei conflitti dei gruppi sociali e tra gli Stati a livello planetario. Però non dobbiamo rassegnarci. Dobbiamo fare affidamento sulla grazia di Dio per lottare contro il male. E guerra e violenza sono un male a cui non possiamo rassegnarci. I Papi ci hanno detto – a cominciare da Paolo VI – che la pace è possibile anche nel nostro mondo e che, se è possibile, la pace va cercata. Pur coscienti della situazione in cui ci troviamo, che è una situazione segnata dal peccato e dal limite, dobbiamo continuamente lavorare per la pace. La pace non va intesa come assenza di conflitti, perché essi fanno parte della nostra realtà, ma va intesa come superamento dei conflitti. Cosa che Francesco continuamente dice: le differenze che ci sono – e che spesso diventano sorgente di contrapposizione e di guerre – devono diventare occasione di crescita comune e di arricchimento reciproco».
Come commenta l’affermazione del Censis che definisce il nostro Paese “incattivito e deluso”?
«Mi ritrovo. Non vorrei adesso attirarmi le ire degli italiani, però non capisco il perché. Ho paura che si inneschi un meccanismo per cui si comincia a lamentarsi di tutto a criticare tutto senza tenere conto delle cose positive che ci sono. Non dico che non ci siano problemi, come la questione che il Censis rileva di una sempre crescente diffidenza e ostilità verso gli immigrati e verso l’Europa. Nei confronti dei migranti non nego che ci siano tanti problemi da risolvere, non è una situazione facile per nessuno. Ma vanno governati. E perché vedere sempre e solo negativo? Non vorrei che fosse un po’ questo il problema nostro: che ci lasciamo troppo prendere dal negativo».
Su quali basi e valori può essere rilanciato il sogno dei padri fondatori dell’Europa?
«Sulla base degli stessi valori che loro misero a fondamento dell’Europa: libertà, democrazia, pace, solidarietà, sussidiarietà, giustizia. Sono questi i valori che devono essere recuperati e tradotti in maniera comprensibile per i cittadini. Qualche volta ci si lamenta che le istituzioni europee sono troppo lontane. Non vengono percepite o percepite come un insieme burocratico che si impone dal di fuori. Il Papa nei suoi discorsi (tra cui uno in occasione del 60° anniversario dell’Europa) ha detto che sono due fondamentalmente i valori: la dignità della persona umana che poi è alla base dei diritti umani (di cui stiamo celebrando anche il 70° anniversario della Dichiarazione), e dall’altra parte la comunità, la socialità: la persona è inserita in una società. Si tratta di dare spazio a questi valori».
Che sono il contrario del populismo.
«Esattamente. Sono il contrario del populismo. In questo senso la politica deve servire il bene comune. E mi dispiace che tante volte anche in Italia la voce dei cristiani si sia affievolita fin quasi a spegnersi sui grandi temi – che non sono solo quelli etici legati al principio e alla fine della vita – ma un po’ in generale».
Proprio per questo c’è chi parla di un ritorno al partito dei cattolici?
«Personalmente su questo non so. Mi domando se si può andare in questa direzione. Forse il tempo è passato. Anche se bisognerebbe approfondire di più. Credo e spero che i cattolici riescano, in qualunque formazione politica militino, a trovare una certa unità attorno ad alcuni valori. Le formule non so quali siano le migliori, ma certamente dobbiamo essere creativi, per trovare gli strumenti che ci permettano di dare voce ai valori. Che poi è una ricchezza per la società. In questo senso il maggiore contributo, anche contro tutti i populismi, è proprio quello di una politica intesa come servizio. Questo è fondamentale».