(Filippo Ciantia)
Francesco nasce e vive la sua giovinezza a Maletto, ai piedi dell’Etna. Nella vicina Bronte fruttificano i rinomati pistacchi, che invece – misteriosamente – nella terra del suo paese crescono ma non danno frutto. Anche Francesco, per dare frutto, dovrà lasciare la sua amata terra.
Impara la passione per “il costruire” dal padre imprenditore edilizio. Architettura è la sua strada: a Reggio Calabria si lega alla scuola “muratoriana” dei suoi maestri Renato e Sergio Bollati.
Mentre conduce a termine gli studi, per la scomparsa prematura del padre deve farsi carico di portare avanti l’impresa di famiglia. Esegue numerosi rilievi architettonici di edifici storici e sacri di cui è ricchissima la zona etnea: ai piedi del “gigante buono”, la terra è fertile di frutti e messi, ma anche di fede popolare e di cultura. Apprezza così l’architetto Mario Botta che nel cantiere e nelle opere vede “una cultura che ha come riferimenti il legame con la storia e l’idea di territorio come luogo di sedimentazione delle memorie”.
Quasi per scherzo – era infatti il carnevale dell’83 – Francesco conosce Enza. Dall’Etna cala un fulmine. Fidanzamento e matrimonio: arrivano 3 figli. Le difficoltà sul lavoro e la chiusura dell’impresa lo portano a migrare al nord dove trova opportunità interessanti, ma non stabili.
Deve lavorare e decide di andare a dirigere un cantiere a Minembwe nell’est della Repubblica Democratica del Congo, raggiungibile solo con l’elicottero delle Nazioni Unite, per evitare foreste e imboscate. Tra guerriglieri e povertà guida la costruzione di un ospedale, segno di speranza e cura in quelle terre martoriate.
Ma il lavoro, ancora una volta, finisce.
Con la moglie Enza, allora, scrive una implorazione alla Divina Provvidenza, per il lavoro e la salute e la vocazione dei figli. Dopo pochi giorni ecco una proposta: in Ucraina hanno bisogno di un architetto per costruire la Chiesa della Divina Provvidenza e il piccolo Cottolengo degli Orionini, progettati dall’architetto Botta!
Con Francesco, il cantiere non è stato fermato neppure dal Covid-19: l’ambiziosa cupola unisce ora la terra e il cielo di Leopoli.
“Costruire è di per sé un atto sacro… Il bisogno che spinge l’uomo a confrontarsi con l’infinito è una necessità primordiale nella ricerca della bellezza, nella costruzione del proprio spazio di vita” (Mario Botta).