(Susanna Porrino)

Nelle scorse settimane si è riacceso il dibattito sulla proposta di concedere anche ai sedicenni il diritto di voto. Una proposta che appare come un tentativo di dare nuovamente un po’ di credito a quei giovani di cui si lamentano continuamente le mancanze, nella speranza di risvegliare in loro un senso di responsabilità collettiva apparentemente sopito e contemporaneamente un modo per mostrare una forma di interesse verso le loro esigenze.

In realtà, questo tentativo appare come un gesto alquanto vano in termini concreti, perché non tiene in conto i reali motivi per cui sembra essersi creata una così profonda distanza tra i ragazzi e la politica da cui spesso si sentono o si vogliono escludere.

Le generazioni contemporanee presentano dei tempi di maturazione a livello civico e sociale molto più lunghi e diluiti rispetto al passato, perché molto più tardo è il momento in cui viene loro concesso di accedere concretamente ad un mondo adulto in cui esprimere e realizzare sé stessi in una forma diversa da quella infantile.

Se vi è una percentuale, per quanto piccola, di ragazzi che al termine della scuola superiore riescono a trovare un impiego e ad inserirsi velocemente in un contesto lavorativo in cui sperimentare rapporti e dinamiche nuove, ve n’è un’altra ben maggiore a rappresentare quelli che risentono della crisi lavorativa o che scelgono di proseguire gli studi: per loro, la comprensione dei problemi di natura politica ed economica della nazione diventerà chiara e definita solo molto più tardi.

Oltre a ciò, la distanza (non solo ideologica, ma anche e soprattutto comportamentale) tra le generazioni rende difficilissimo individuare dei punti comuni di incontro. Il web, divenuto per la maggior parte degli adolescenti il principale sguardo sul mondo e per molti anche fonte di occupazione e guadagno, ha offerto ai ragazzi filtri e strutture mentali completamente opposti rispetto a quelli tradizionali; il contatto continuo con realtà diverse e lontane ha in parte diminuito il valore della partecipazione alle vicende strettamente locali.

I tentativi – pochi – eseguiti finora per tentare di rendere i giovani più partecipi delle realtà e delle problematiche della vita politica e collettiva hanno avuto ben pochi risultati, perché usano linguaggi o temi da loro estremamente lontani. Non basta la trasmissione di nozioni ad avvicinare i giovani ad una politica in molti casi sentita come estranea. E non è neanche corretto pensare che i ragazzi non si interessino spontaneamente della realtà intorno a loro.

Al contrario, molti di loro si informano, ma poi sono privi di quegli strumenti pratici di rilettura e analisi della realtà di cui invece gli adulti dovrebbero disporre e con cui dovrebbero educare i più giovani a plasmare una società più attenta e ben regolata.

I problemi che le nuove generazioni dovranno affrontare nel futuro sono già nel presente sotto agli occhi di un mondo adulto che non se ne cura. A mancare non è l’opinione dei ragazzi, ma la presenza di figure sinceramente interessate ad affrontare con loro quei problemi con cui sono già costretti a confrontarsi in prima persona.

I ragazzi e gli adolescenti hanno bisogno di essere educati alla vita politica attraverso l’esempio di una società in grado di modellare e riformare se stessa a vantaggio della collettività. Finché ciò non si realizzerà, far accedere i sedicenni al voto, diritto a cui molti adulti vengono meno, significherà conceder loro il diritto di parola su questioni sulle quali, come i personaggi orwelliani, non avranno però le parole da pronunciare.