Le due straordinarie guarigioni operate da Gesù si collocano in un contesto che, all’opposto, è del tutto ordinario, popolare e famigliare. Attorno a Lui c’è molta folla, la gente comune, e fra di essa i distinti, come Giàiro, uno dei capi della sinagoga, che ha la figlioletta in fin di vita.

Le persone premono da tutte le parti, cercano la vicinanza fisica e il contatto con il Salvatore, la tangibilità di Dio per la salvezza del corpo. La vicenda della donna è una storia di ordinaria sofferenza: una malattia dolorosa, invalidante diremmo oggi, e probabilmente anche imbarazzante, con il dettaglio, estremamente concreto, dei problemi peggiorati dopo l’intervento dei medici; l’umanità, con tutta la sua migliore scienza, non può guarire da sola. Gesù partecipa di questa quotidiana sofferenza, si mischia alla folla e porta la salvezza a chi ha fede, così la donna diventa “figlia” e può andare in pace.

Ma il Signore può fare ancora di più, fino a compiere il miracolo del richiamare alla vita una fanciulla. Anche questo episodio eccezionale si colloca in un quadro comune e, questa volta, intimo. Gesù prende con sé i soli Pietro, Giacomo e Giovanni e, allontanati tutti gli estranei (si raccomanderà poi di non parlarne con nessuno), entra nella casa di Giàiro. Il gesto di prendere la mano della fanciulla è semplice e significativo, ma forse lo è ancora di più il fatto che si siano tramandate fino a noi le parole in aramaico, la madrelingua del Maestro. Non un’espressione complicata, non una formula criptica o un’invocazione solenne, ma solo un invito: “Talità kum”.

Tutto qui? Sì, perché Giàiro e la moglie hanno avuto fede. E Gesù, come ultimo gesto in questo ambiente famigliare, “disse di darle da mangiare”. Attraverso la fede, il divino entra nell’umano, lo straordinario nel quotidiano e il cielo si fa prossimo alla terra.

Mc 5, 21-24.35b-43 (forma breve)

In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
Dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.
Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete?
La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.