Domani 10 febbraio è la “Giornata delle foibe” istituita dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, già sottotenente del regio Corpo automobilistico in Albania durante la Seconda guerra mondiale e, dopo l’8 settembre 1943, impegnato nella resistenza. Con legge 30 marzo 2004, n. 92, quando era presidente del Consiglio dei ministri Silvio Berlusconi, venne promulgata la legge che recita:
«1. La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale “Giorno del ricordo” al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale.
2. Nella giornata […] sono previste iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado. È altresì favorita, da parte di istituzioni ed enti, la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende. Tali iniziative sono, inoltre, volte a valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani dell’Istria, di Fiume e delle coste dalmate, in particolare ponendo in rilievo il contributo degli stessi, negli anni trascorsi e negli anni presenti, allo sviluppo sociale e culturale del territorio della costa nord-orientale adriatica ed altresì a preservare le tradizioni delle comunità istriano-dalmate residenti nel territorio nazionale e all’estero.»
Il capitolo degli infoibati, costò alla popolazione italiana della riva adriatica, oggi della ex Jugoslavia – secondo le fonti – tra i 3000 e i 5000 morti. Conteggiando quelli deceduti in campo di concentramento, si può arrivare a stimare il numero di 11.000 uccisi ma, secondo Raoul Pupo, professore di Storia contemporanea all’Università di Trieste, tra i massimi conoscitori del-l’Esodo giuliano-dalmata e dei massacri delle foibe, questa cifra comprenderebbe anche i caduti italiani nella guerra antipartigiana, dato pubblicato nella voce: “Foibe” sulla Treccani.
Numeri che lasciano ancora oggi allibiti, numeri che furono alla base dell’Eso-do giuliano-dalmata nell’emigrazione forzata della maggioranza dei cittadini di nazionalità e di lingua italiana dalla Venezia Giulia (comprendente il Friuli Orientale, l’Istria e il Quarnaro) e dalla Dalmazia, nonché di un consistente numero di cittadini italiani (o che lo erano stati fino a poco prima) di nazionalità mista, slovena e croata, che si verificò a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale e nel decennio successivo. Si stima che i giuliani (in particolare istriani e fiumani) e i dalmati italiani che emigrarono dalle loro terre di origine ammontino a un numero compreso tra le 250.000 e le 350.000 persone. Il fenomeno fu la conseguenza degli eccidi delle foibe, organizzati dai partigiani jugoslavi e dall’OZNA, e coinvolse tutti coloro che diffidavano del nuovo governo jugoslavo comunista di Josip Broz Tito e fu particolarmente rilevante in Istria e nel Quarnaro, dove si svuotarono dei propri abitanti interi villaggi e cittadine di etnia o appartenenza culturale italiana.
La Odeljenje za Zaštitu Naroda “Одељење за заштиту нaродаera” era il potentissimo Dipartimento per la Protezione del Popolo, dei servizi segreti militari jugoslavi, organizzato secondo i canoni italiani dell’OVRA (Opera Volontaria di Repres-sione Antifascista). Era diretta da Maks Baće Milić, Pavle Pekić, Jeftimije Sasić e da Mijat Vuletić e fu organizzata a tavolino per la pulizia etnica contro gli “Italiani” e i dissidenti da Tito in persona con Milovan Đilas. La polizia segreta OZNA controllava ogni aspetto della vita sociale, alla costante ricerca dei “traditori”. Tito organizzò anche una forza di polizia segreta, l’Amministrazione di Sicu-rezza dello Stato (Uprava državne bezbednosti/sigurnosti/varnosti, UDBA).
Sia l’UDBA e sia l’OZNA furono incaricati, tra le altre cose, di ricercare, imprigionare e processare un largo numero di collaborazionisti. Essi inclusero anche preti cattolici, a causa del coinvolgimento del clero cattolico croato con il regime ustascia durante la guerra. L’esodo in Italia, vicina e martoriata dalla guerra, coinvolse molti jugoslavi che videro in essa una via d’uscita: secondo lo studioso demografo Vladimir Žerijavić, ben 25.000 croati abbandonarono gli ex-territori italiani passati alla Croazia, secondo quanto riporta Guido Rumici, in “Fratelli d’Istria”, Milano, Mursia, 2001. L’esilio coinvolse tutti i territori ceduti dall’Italia alla Jugoslavia con il trattato di Parigi del 1947 e anche la Dalmazia, dove vivevano i dalmati italiani. Storicamente parlando, quello delle foibe e del successivo esodo, costituiscono l’epilogo di una secolare lotta per il predominio sull’Adriatico orientale, che fu conteso da popolazioni italiane e slave, prevalentemente croate e slovene, ma anche serbe.
Una lotta che si inserisce all’interno di un fenomeno più ampio (un caso analogo è quello dell’espulsione dei tedeschi dopo la Seconda guerra mondiale) che fu legato all’affermarsi degli stati nazionali in territori etnicamente misti e dove – secondo alcuni storici come Antonio Ferrara, Niccolò Pianciola, in “L’età delle migrazioni forzate. Esodi e deportazioni in Europa” e “Le foibe: i fatti, la costruzione della memoria, la ricerca storica. Strumenti per la didattica” di Antonio Brusa – si capisce che l’identità e l’etnia degli individui e delle popolazioni erano più processi costruiti politicamente che dati immutabili e naturali, come ha insegnato la recente guerra di disgregazione della Jugoslavia o il genocidio del Ruanda.
Pensiamo anche al “Memo-randum di Darmstadt”, pagina che nessuno osa aprire e che lo ha fatto in sordina in Italia Massimo Lucioli o dei civili tedeschi dopo la caduta di Hitler: gli ex territori della Germania trasferiti alla Po-lonia ed all’Unione Sovietica tra cui il Brandeburgo orientale, la Prussia orientale, la Pomerania e la Slesia, la Cecoslovacchia, ricostituita nei confini della Cecoslovac-chia pre-bellica, che comprendeva le zone occupate dalla Wehrmacht dopo l’Accordo di Monaco, le aree polacche annesse o occupate dalla Germania nazista durante la guerra; l’Ungheria, la Ro-mania, la Jugoslavia settentrionale (prevalentemente regione della Vojvodina) ed altri Stati dell’Europa Centrale ed orientale.
La maggior parte delle espulsioni forzate dei civili tedeschi si verificarono nei territori dell’ex Germania orientale trasferita alla Polonia e all’Unione Sovietica con circa 7 milioni di profughi e dalla Cecoslovacchia con 3 milioni di profughi espulsi e spediti nelle zone di occupazione alleata in Germania e Austria. Quello delle foibe e dell’Esodo resta uno dei tanti sanguinosi capitoli della conseguenze della guerra.