Si è appena conclusa la diciottesima edizione della settimana della lingua italiana nel mondo, con una serie di eventi nei nostri consolati, negli istituti italiani di cultura o nelle cattedre di italianistica delle diverse università del mondo. Il tema era “L’italiano e la rete, le reti per l’italiano”. Scorrendo tra le bellissime iniziative sono stata colpita dal titolo della giornata di studio svoltasi all’università di Ginevra che riprendeva una frase di Thomas Mann: “Non c’è dubbio che gli angeli in cielo parlano italiano”.
Nella mia testa ho cominciato ad immaginare gli angeli di tante chiese o rappresentati in mille opere d’arte, che giocano con gli scioglilingua o con gli indovinelli, le rime e gli anagrammi; immagino angeli custodi che si specializzano nei vari dialetti per poter capire i pensieri e le intenzioni dell’individuo che devono seguire.
Mi chiedo anche se si confrontino tra loro per darsi dei suggerimenti!
L’italiano, non è solo la nostra lingua, è anche la nostra storia e la nostra cultura, quello che ci mette insieme e che annulla tante differenze; eppure è una lingua in costante evoluzione e, a ragione, l’Accademia della Crusca si interroga sul rapporto tra l’italiano e la rete. È vero che grazie alla rete si può comunicare molto facilmente, ci sono gruppi facebook dove ci si scrive in italiano con tante persone di altri paesi che studiano e apprezzano la nostra lingua e la nostra cultura. Ma è anche indiscutibile che la rete ed i social, come abbiamo già scritto in passato, hanno modificato molto il nostro modo di comunicare, o almeno ci hanno provato e con qualcuno ci sono anche riusciti.
La comunicazione della rete è breve, colpisce, ti impone di entrare immediatamente nell’argomento, è fatta di parole chiave, di concetti brevi, di tempi di lettura altrettanto brevi. Il messaggio breve, di impatto, spesso non viene approfondito, rimane grezzo e lasciato alla rielaborazione individuale, e per questo spesso non corretta, superficiale, che da adito alle notizie false su cui tanta disinformazione spesso gioca.
Il messaggio così elaborato richiede tempi di attenzione brevissimi e questo tempo breve in cui l’attenzione si focalizza su un frammento, riesce a stento a lasciare una traccia nella memoria, perché non ha avuto il tempo di seguire un iter, di lasciare uno spazio a quella sequenza di eventi, in questo caso di azioni proprie del ragionamento logico, di arrivare alla memoria.
Ci rimane solo quello che ha scatenato delle emozioni forti, non quello su cui abbiamo riflettuto e ragionato.
E se dal messaggio scritto passiamo al messaggio parlato? Cosa cambia, se cambia? Dovrebbe cambiare l’interlocutore che si ha di fronte e quindi il messaggio potrebbe o dovrebbe adeguare i termini, i paragoni o le metafore.
Essere dei bravi comunicatori impone proprio un adattamento al contesto che viene aiutato dalla lingua italiana, in grado di essere da un lato molto sofisticata, ma dall’altra ricca di sinonimi, di spunti e di echi emotivi.
Mi viene in mente, per rimanere sul tema degli angeli e delle chiese, le Messe per i bambini, che sono tanto belle e tanto piacevoli perché ricche di storie e di durata adeguata, perché i bambini non riescono a mantenere l’attenzione a lungo (ma anche per gli adulti non si può non tenerne conto). L’attenzione è qualcosa che si stimola e si sviluppa nel tempo e risente di tutta una serie di influenze o di disturbi. E di questo, quando comunichiamo, dobbiamo esserne consapevoli.
Per fortuna, che gli angeli sono sempre attenti verso di noi, stanno sempre lì, ci guardano, sorridono e chiacchierano… in italiano, ovviamente.
Cristina Terribili