Continuando sul percorso della settimana scorsa, oggi rimango tra le mura scolastiche, divertendomi a far affiorare ricordi di quel bel periodo della mia vita, gli anni del liceo.

Ritorno con la mente ai banchi di scuola ed alla stramba popolazione scolastica che animava le mie giornate. Coetanei d’ogni genere, le categorie dei quali sarebbero tantissime e un tantino stereotipate: dal secchione al fannullone, tanto per citarne due. Nomi però, dietro ognuna di queste categorie, spesso ben impressi nella testa dei professori. I nomi sono la cosa più dimenticata. Fu proprio perché venni chiamato, che scelsi all’epoca una scuola piuttosto che un’altra. E con i nomi si può costruire un futuro, con le categorie no. Per una categoria si pretende di tutto e si offre ben poco. Un nome, che è biunivoco ad una persona, ha molto di più, ed è molto di più.

Ricordo diversi compagni con un’eccelsa carriera scolastica ma una totale indecisione sul futuro. Insegnare è un gesto di altruismo, è un po’ come essere genitore, o per lo meno così credo. Un insegnante dovrebbe essere fiero se un alunno spicca il volo, se si libra alto, se sa fare delle scelte e sa costruirsi con il contributo principale delle proprie energie un futuro appagante.

Parliamoci chiaro, conta di più un 100 e lode alla maturità o un percorso professionale-accademico ben tracciato? Conta di più una pagella impeccabile o il saper stare al mondo? Per la sana ragione la migliore opzione è la seconda, per un (ottuso) sistema scolastico probabilmente la prima. E qui contano molto i progetti extrascolastici che non sono mai una perdita di tempo delle classiche ore di lezione.

C’è oggi chi studia quel che ha scelto con convinzione di perseguire allegando già delle professionalità acquisite a scuola ma probabilmente in buona parte fuori dal curriculum standard; corsi, iniziative, incontri e conoscenze, progetti e rapporti umani. “Bravo te” potreste dire. “Bravo no, sveglio sì” direi. E chi non è sveglio per sceglierlo in autonomia oggi purtroppo si arrangia rischiando di uscire dalla scuola un po’ perso, con l’acqua nel cervello perché improvvisamente là fuori il mondo funziona, l’oceano è grande. E se negli anni della formazione non solo non si è insegnato a nuotare, non si è acquisita neanche la maturità per stare a galla. Maturità, appunto.