(Piero Pagliano)

Questo secondo accostamento alla galassia musicale bachiana si rivolge ad una tra le più elaborate opere dedicate alla tastiera: l’Aria con diverse variazioni, BWV 988. Meglio conosciuta con il titolo di Variazioni Goldberg, fu pubblicata nel 1741, quando Bach aveva già trovato da vent’anni una sistemazione più stabile e definitiva come Kantor, cioè di insegnante e compositore, a Lipsia, presso la Scuola di San Tommaso. E dal 1721 – diciotto mesi dopo la morte prematura della prima moglie – si era unito in nuove nozze con la soprano ventenne Anna Magdalena, l’amata consorte che gli darà ben tredici figli, sette dei quali non riusciranno però a superare l’infanzia.

La composizione delle Goldberg venne collegata dal primo biografo di Bach a una curiosa circostanza: l’opera sarebbe stata commissionata dall’ambasciatore russo presso la corte di Dresda, il conte Hermann Carl von Keyserlingk, il quale soffriva di insonnia per le preoccupazioni del suo incarico politico e alleviava le sue ore notturne ascoltando il giovanissimo clavicembalista quattordicenne, Johann Gottlieb Goldberg, che era al suo servizio, dopo essere stato allievo sia di Johann Sebastian sia del figlio maggiore di Bach, Wilhelm Friedemann. Questo racconto è stato spesso considerato poco attendibile per alcune apparenti incongruenze, ma resta il fatto che il suo autore, il musicologo e organista tedesco Nikolaus Forkel, era un grande ammiratore di Bach padre e fu per anni in relazione con i figli e affermati compositori Carl Philip Emanuel e Wilhelm Friedemann, dai quali ebbe molte informazioni di prima mano per la biografia che ci ha lasciato.

Dopo la loro prima pubblicazione, le Variazioni di Goldberg dovranno aspettare ancora due secoli per ottenere il più ampio riconoscimento da parte delle platee; e sarà merito della pianista polacca Wanda Landowska quello di aver “resuscitato” questo monumento sonoro in una storica registrazione sul clavicembalo nel 1933 (come un secolo prima, nel 1829, Mendelssohn aveva di fatto dato inizio alla Bach-Renaissance dirigendo la allora dimenticata Passione secondo Matteo). E sarà ancora una seguace della Landowska, la pianista americana Rosalyn Tureck, a dare nuova vita, prima sul clavicembalo e poi sul pianoforte, a quelle virtuosistiche Variazioni. Fino a che irromperà sulla scena uno dei più geniali pianisti del Novecento a sconvolgere il mondo musicale.

Era il 1955, quando il ventiduenne canadese Glenn Gould si presentò allo studio di registrazione della Columbia Records’ Masterwork portandosi la sua sedia pieghevole da cui non si separerà mai, per apprestarsi a incidere, nel corso di una settimana, le “sue” leggendarie Goldberg. Variazioni che Glenn Gould tornerà a registrare – e sarà come una sorta di testamento universale – nel 1982, sondando ancora più acutamente le misteriose profondità dello spirito bachiano. L’Aria che costituisce il tema iniziale di quest’opera figurava già, fin dal 1725, come «Sarabanda» nel Qua-derno musicale che Bach aveva dedicato alla moglie Anna Magdalena. Da quel motivo iniziale si articolarono quindi le trenta variazioni in cui l’immaginazione creativa dell’autore si snoda in una sequenza rigorosamente strutturata dalle leggi formali della progressione e del contrappunto, in una ciclica e unitaria totalità che rappresenta – anche attraverso i contrasti tonali – un modello armonico di compiuta bellezza.

Enigmi e curiosità biografiche a parte, resta dunque per noi questo capolavoro, risuonato già in tante forme e con svariati strumenti: an Eternal Golden Braid (un’eterna ghirlanda d’oro, secondo le parole di Douglas R. Hofstadter, autore di Gödel, Escher, Bach): una bella metafora per invitarci ad entrare in questo delizioso labirinto di suoni e lasciarci così avvolgere dall’onda musicale di uno dei parti più sublimi della mente umana. Variazioni Goldberg può significare anche, alla lettera, “Variazioni della Mon-tagna d’Oro”, evocando come l’immagine di un percorso fiabesco: per cui, partendo dal motivo di base dell’Aria, dopo le trenta “stazioni” di questo viaggio nella foresta incantata dei suoni e delle emozioni, si giunge in un’ora alla cima, che è ancora la stessa Aria dell’inizio: come la ritrovata armonia di un canto che, a compimento delle vicende gioiose e dolorose della vita, potrà far risorgere ancora, dal silenzio interiore, quel misterioso sentimento dell’attimo che coincide con l’eterno.

Gli ascolti suggeriti di questo capolavoro del barocco musicale possono cominciare naturalmente dal clavicembalo, in cui spicca l’esecuzione pionieristica realizzata nel 1933 da Wanda Lan-dowska (1879-1959). L’impareggiabile espressività del tocco e del fraseggio della grande pianista polacca sarà la cifra che caratterizza anche la successiva esecuzione dei 48 Preludi e Fughe del “suo” Clavicembalo ben temperato. Resta invece ben più di una curiosità l’esecuzione delle Goldberg al clavicembalo tentate da uno dei più originali compositori contemporanei, Keith Jarrett, che ha alternato alle sue performance jazzistiche alcune non banali incursioni nel repertorio dei classici.

Ma l’esecuzione cembalistica di riferimento resta tuttora quella dell’olandese Gustav Leonhardt, che non a caso verrà poi scelto a interpretare quel film miracolosamente prodotto anche dalla Rai: Chronik der Anna Magdalena Bach (1968) di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet. Passando al pianoforte, si segnalano l’americana Rosalyn Tureck, già seguace della Landowska; la mitica Maria Yudina, e la nostra Maria Tipo. Anche Bruno Canino si è cimentato su queste ardue pagine bachiane. E recentemente si è imposta all’attenzione del pubblico, proprio con le sue apprezzabili e convincenti esecuzioni delle Goldberg, la giovane Beatrice Rana. Altre notevoli esecuzioni, che resteranno nella storia delle interpretazioni bachiane, sono quelle di Jörg Demus, Rudolf Serkin, Claudio Arrau, Wilhelm Kempff, András Schiff, Charles Rosen e Murray Perahia.

Ed era naturale che non avrebbe resistito al fascino delle Goldberg nemmeno un idolo delle giovani generazioni come Lang Lang, che già aveva indotto milioni di suoi connazionali cinesi a studiare il pianoforte. Come documenta l’enciclopedico Piero Rattalino, già nel primo Novecento le Goldberg erano entrate nel repertorio concertistico del pianoforte, grazie anche alla revisione di Ferruccio Busoni. In questi ultimi anni, hanno lasciato il segno le perfette e intense incisioni di un grande fan di Bach come l’iraniano Ramin Baharami, in cui si coglie una evidente e appassionata dipendenza da colui che ha aperto la strada al revival della monumentale opera destinata alle tastiere dal creatore del Clavicembalo ben temperato.

Si tratta, ovviamente, delle incomparabili performance del canadese Glenn Gould (Toronto 1932–1982), che hanno tolto – come è stato detto – la parrucca a Bach, avviando un esperimento teso a rendere sul pianoforte moderno un’eco della tipica sonorità degli strumenti settecenteschi, ma soprattutto a cogliere lo spirito più autentico del padre della musica occidentale.