Non mi capita spesso di lasciare argomenti in sospeso da una settimana all’altra. La volta scorsa però il consueto spazio a disposizione mi ha permesso di sviluppare solo una delle due riflessioni che mi sono nate dopo aver visto lo spettacolo teatrale “XY” sulla scoperta di sé e sulla ricerca dell’equilibrio come segno di maturità. Dicevo già dell’assenza di Dio nelle battute degli attori, che rispecchiano una attitudine del pubblico ed in generale della gioventù. Aggiungevo che non è vera assenza, quanto piuttosto segno di un rifiuto ad affrontare il discorso, un affossamento nel silenzio dannoso e logorante.
C’è però un’altra dimensione che assume grande rilievo nello sceneggiato di Chiara Ferlito e Matteo D’Incoronato: la musica. Non mi riferisco solo alla colonna sonora: sarebbe banale. Nelle fasi adolescenziali della presa di coscienza di sé la musica accompagna con estrema confusione il protagonista, visto dai due emisferi del cervello interpretati dai due attori. Nel prepararsi per il suo primo appuntamento, la musica riflette il tumulto della mente: mille scelte, mille idee, un riflesso della necessità di trovare un equilibrio tra il caos dei desideri e la ricerca di sé. Ma quando il protagonista, il “campione”, cresce e si scontra con le difficoltà della vita, i fallimenti universitari, le delusioni affettive, il vuoto esistenziale, la musica viene spazzata via. La sua creatività si affievolisce, così come la sua speranza, travolto dalla grigiume che lo schiaccia.
Eppure, è proprio quando si tocca il punto più infimo che scatta qualcosa. Il vuoto incolmabile viene timidamente riempito da una melodia. Non importa quale sia il brano, né tanto meno il testo; ciò che conta è che, per la prima volta, il vuoto viene colmato da qualcosa di astratto, qualcosa che eleva. Non più atti carnali che non fanno altro che aumentare quel vuoto, ma una musica che solleva e ridà speranza. In quel momento il protagonista rialza lo sguardo e si apre per lui la strada per l’equilibrio interiore.
“Cose che succedono solo nei film (o a teatro)” direbbero alcuni, la maggior parte delle volte l’altalena torna giù e si ricomincia da capo. E di nuovo si è vuoti. Ma a me piace sempre vedere il bene nelle cose: voglio essere un uomo di speranza. Senza scordare che pure la musica porta a Dio: spesso, quando le parole non bastano, le note fanno il resto. Se però Dio sembra ancora lontano, le note senz’altro nobilitano lo spirito, sarà lì che l’anelito verso Dio echeggerà potente, come musica nel nostro cuore. Uno strumento salvifico d’eccezione.