“Sacerdote, storico, poeta e musicista”: così è stato accolto Don Giuseppe Ponchia da Federico Peri-netti nella grande e nobile “compagnia” dei suoi Personaggi egregi di Ivrea e Canavese (Bolognino editore). L’indole tanto versatile di questo sacerdote, nato il 14 novembre 1911, era stata naturalmente favorita anche dalla sua famiglia di origine, tra le più antiche e conosciute di Montanaro (“da quel Montanaro, fucina nei tempi di artisti distintisi nei vari campi – come ne ha scritto Renzo Pessatti nel suo Musica e musicisti nel Canavese); una famiglia radicata in una profonda tradizione cattolica, da cui sono usciti due sacerdoti, don Giuseppe, appunto, e il fratello Giovanni, parroco di Settimo Vittone, nonché una suora, la sorella Tarcisia. Una famiglia che vantava, peraltro, anche solide tradizioni artistiche, perché il padre Andrea e lo zio Giovanni erano pittori molto conosciuti e apprezzati non solo in Canavese.
Fu, dunque, “naturale” anche la vocazione, manifestata in tante forme estetiche dal giovane Giuseppe, che respirò, per così dire, un’atmosfera casalinga di arte vissuta, che lo porterà infatti a realizzare opere importanti nei vari campi dei suoi interessi culturali. Ordinato sacerdote, nel luglio del 1934, dal vescovo monsignor Matteo Filipello, per molti anni don Ponchia svolgerà la sua missione pastorale di predicatore degli esercizi spirituali nelle case religiose dei più svariati ordini in giro per l’Italia, dal Piemonte alla Lombardia, al Veneto, alla Liguria, ma resterà anche sempre attivo nelle parrocchie della Diocesi eporediese. Sacerdote, dunque, innanzitutto, don Ponchia, ma senza trascurare i talenti dell’uomo colto, interessato alla storia, alla poesia, alla musica.
Nel campo della ricerca storica, la sua opera più rilevante resta la storia di Montanaro, che continua quella avviata dal suo prozio, don Antonio Dondona. Completano questa storia più politica altri tre “Quaderni”, dedicati alle vicende musicali della sua città, dal sec. XI al Novecento, che riguardano naturalmente la musica sacra, ma anche quella “profana”, per concludersi con il teatro e il cinema.
Non trascurò, Don Ponchia, da sacerdote, la sua forte “vocazione musicale”, che già aveva coltivato con il suo primo Maestro, Angelo Burbatti, con cui studiò pianoforte e organo; e che approfondì poi anche negli studi di composizione con il maestro Felice Boghen (noto per i tanti prestigiosi incarichi ricoperti a Firenze, Bologna e Roma; incarichi a cui però dovette rinunciare dopo l’introduzione delle leggi razziali del 1939). Il “catalogo” musicale di don Ponchia conta più di cinquanta composizioni: mottetti da una a sei voci con accompagnamento di organo (tra cui un mistico e dolcissimo “Panis Angelicus” a quattro voci con organo, e un “Bone pastor” per due voci con organo o armonio), diversi pezzi per organo e per canto e pianoforte.
Sono state frequentemente eseguite, in anni passati, una sua “Ave Maria” (per soprano o tenore con organo), e la “Serenata canavesana” (per soprano o tenore, con pianoforte). È evidente, nelle opere destinate alla Chiesa, la ricerca di esprimere elevati sentimenti spirituali, seguendo l’ammirato esempio del suo amato Maestro Angelo Burbatti. E si colloca nella poetica rappresentazione di una intensa esperienza religiosa anche l’opera di fatto più nota e grandiosa di Giuseppe Ponchia: “La Notte Santa”, ispirata all’ultima lirica delle “Poesie” di Guido Gozzano.
Musicato per soli, coro, pianoforte, organo e campane, il “melologo popolare” concepito dal poeta di Agliè racconta (e scandisce) le ore che precedono la nascita di Gesù, quando Maria e Giuseppe vagano per Betlemme alla vana ricerca di un albergo dove trascorrere la notte e dare una culla al bambino che sta per nascere. Ma, dopo aver inutilmente fatto richiesta in cinque alberghi, troveranno rifugio soltanto in una grotta di pastori …. Come è noto, la “variazione” ideata da Gozzano si rifà al racconto dell’evangelista Luca, che conobbe personalmente la madre di Gesù, e questo spiega la ricchezza di notizie che documentano anche l’evento del “Natale”.
“La Notte Santa” fu eseguita la prima volta in Canavese dalla cantoria parrocchiale di San Benigno, e poi replicata ad Agliè il 18 dicembre 1983, in occasione del centenario della nascita di Guido Gozzano. Il grande poeta torinese – pur sapendosi destinato a una fine prematura a trentadue anni – aveva concluso il suo “Canzoniere” con quel festoso canto di gioia, che troverà la sua più bella traduzione musicale proprio nell’opera omonima di Don Giuseppe Ponchia. Ed è nella parte conclusiva della “cantata” che risuona più intensamente la grandezza misteriosa di quella “Mezzanotte Santa”: “È nato! Alleluja! Alleluja/ È nato il Sovrano Bambino. / La notte, che già fu sì buia, / risplende d’un astro divino./ È nato! Alleluja! Alleluja!”.
Con la musica e anche con la poesia – ha scritto Federico Perinetti – don Ponchia ha potuto esprimere al meglio la delicatezza del suo animo gentile e ricco di calore umano. Motivi di ispirazione dei suoi versi erano aspetti e momenti della sua vita sacerdotale, piccole vicende del vivere quotidiano, i borghi e la campagna del Canavese, il ricordo affettuoso di persone care. Poesie a tratti velate da una sottile malinconia, ma sempre illuminate dal sentimento di una profonda fede religiosa. Negli ultimi anni, don Ponchia si stabilì definitivamente a Montanaro e collaborò assiduamente all’attività della parrocchia, mettendo sempre a disposizione la sua arte di organista, fino a quando glielo consentirono le condizioni di salute. La sua vita terrena si concluse a 76 anni, ma fu così piena e ricca di opere, grazie ai suoi tanti talenti messi generosamente a frutto, che non solo Montanaro, ma tutto il Canavese ricorda questo sacerdote come uno dei suoi figli più eminenti.