(Fabrizio Dassano)
Come vi avevo promesso lo scorso numero, trascrivo qui il retro del foglietto a quadretti recapitatomi dal mio ex vicino che ha lasciato la città per la campagna ormai da un anno per sfuggire al contagio.
Ho preso un cane. In realtà è una cagnetta meticcia di 12 anni di pura razza “divano”. Vecchia e stanca, non molla il sofà per nessuna ragione, seppur sia sveglia e reattiva quando si va a passeggiare per campagna e bosco. Raramente si corica sul tappeto, forse per via di qualche antenato persiano, ma rigorosamente vicino alla stufa accesa.
Comunque, perché un cane? Ma perché una signora era venuta a farmi dei lavori e poiché la madre ammalata (è poi mancata) aveva questa cagnina da sistemare, mi ha pregato di tenerla per evitargli ultimi anni di vita brutti. E così, felicemente intortato, l’ho tenuta. Ho dovuto dargli anche i miei dati sensibili. La volta successiva è tornata con un libretto, tipo di circolazione e con la ‘voltura’ del cane a mio nome effettuata presso la Regione Piemonte.
Il primo giorno da sola con me ha tentato di mordermi, poi si è affezionata così tanto a me che sono indeciso se chiedere alla mia amministrazione l’assegno di cane a carico o se proprio mettermi in aspettativa per “motivi caniliari”. Insomma non posso negarti che la mia vita è cambiata in meglio malgrado il confinamento.
Anzi il “Penny cane” (Penelope è il suo vero nome) ha aggiunto un tono di colore in quei giorni freddi e piovosi che rendono in stile gulag la visione del cortile, con la rete metallica del pollaio gelato e plumbeo come il giorno della memoria. In quei giorni, il quadrupede scorrazza fuori per qualche istante ma poi, visto il pelo corto, preferisce intanarsi sul divano al calduccio. È un bel cane, un incrocio tra una lupetta e chissà che cosa. È magra e scultorea quasi come un levriero ma ha una coda storta e grossa che non c’entra niente col resto. Le orecchie, anche se sono triangolari come nel lupetto, in realtà sono piegate in avanti come nel più classico dei cani da pagliaio. Mi segue ovunque e non stacca mai lo sguardo da quello che faccio io: mi sento veramente osservato come dalla telecamera del Cane Fratello.
Negli ultimi tempi ha ingaggiato una guerra personale che la diverte molto, col signor Topo. Dove tengo il mangime e il pane secco per le galline, si è infatti installato il signor Topo che rosicchia dal fondo del sacco le pagnotte secche. Di notte il suo rosicare sembra quello di un tarlo gigante e il “Penny cane” drizza le orecchie e si scatena in una furibonda quanto vana caccia. Ma si vede che è diventato il suo gioco preferito, perché alterna annusate a affondi di naso tra i sacchetti e le cassette che le impediscono la libertà d’azione, agitando la coda come un tergicristallo sotto un temporale estivo. Il signor Topo è astutissimo: non potendo evitare di tradire la propria presenza con il suo caratteristico profumo francese “eau de rat”, resta perfettamente immobile quando si appressa il nasone del cane.
Il problema del “Penny cane” è che non mi mangia il cibo per cani. Non lo tocca proprio. Al contrario le galline se lo mangiano tutto. Per la legge del contrappasso ho provato a dare al cane il mangime delle galline, senza risultato però. Ho provato anche con il cibo per gatti, ma nemmeno quello gradisce: credo preferisca direttamente il gatto.
Infine, grazie alla mia interpretazione del linguaggio canesco, ho scoperto che predilige il cibo umano: quando sono a tavola si avvicina e appoggia il mento sul mio femore, in attesa di cibo. Se gli dico qualcosa, allora si mette seduta e alza la zampa destra piegandola verso il basso.
Insomma, c’è sempre spazio, tempo e modo per imparare a convivere e iniziare una nuova vita.