Nelle mattine frenetiche della metropolitana di Roma, dove il rumore si mescola ai pensieri di chi va al lavoro, mi ha sorpreso e rallegrato scoprire una nuova iniziativa dell’Azienda trasporti: l’affissione di cartelli con poesie di Ungaretti, Pascoli e altri grandi della nostra tradizione letteraria. Stuzzica vedere come, in quelle scatolette di sardine che sono i vagoni della metro, ci si possa ritagliare uno spazio intimo per riflettere su versi che ci parlano di vita, emozioni e bellezza. O anche solo per buttare l’occhio… Anche i turisti, sempre spaesati, si fermano, incuriositi da quei piccoli frammenti di cultura italiana.

Questa settimana, poi, ho avuto la fortuna di partecipare a un incontro con due romani, autodefinitisi poeti: Fernando Acitelli e Plinio Perilli, poco conosciuti, mai sentiti pure io prima di quell’incontro. Nel dialogo ho chiesto loro cosa pensassero del ruolo della poesia nella società contemporanea. Le loro risposte, così diverse, hanno aperto uno spaccato interessante. Acitelli, con un tono malinconico, vede nella poesia un rifugio personale, un luogo dove chiudersi per dare voce a sentimenti spesso dimenticati: sembra quasi non creda nel suo lavoro.

Al contrario, Perilli, pur riconoscendo le difficoltà di una cultura che sempre più velocemente perde profondità, intravvede nella poesia una porta verso il trascendente, uno strumento capace di dare senso al caos e alla superficialità del nostro tempo. La poesia, oggi e sempre, nobilitando l’uomo lo invita a guardare oltre il visibile.

Eppure, la poesia non appartiene solo ai libri di Dante, Saba o Montale. È presente nella vita quotidiana, nei gesti semplici e nei silenzi carichi di significato. Non è un caso che i giovani di oggi, forse ancor più dei nostri genitori, sembrano cercare la poesia ovunque: nella musica, nei social, in immagini che raccontano un frammento d’esistenza.

Hanno bisogno di poesia, anche se spesso non lo sanno, perché la loro vita è fatta di domande, inquietudini e slanci. Non ci si può né si deve fermare all’immanenza di tutti i giorni: la poesia può essere strumento per la trascendenza.

Simpatico esempio è la popolarità del “Poeta della Serra”, un giovane autore (non eporediese, a dispetto del nome) che ha conquistato moltissimi coetanei con i suoi aforismi. Non poesia aulica o sopraffina, certo, ma il suo lavoro è stimolante. Perché, in fondo, la bellezza è sempre una via privilegiata per il trascendente. È la via pulchritudinis, una strada che ci invita a salire verso l’alto, rinnovandosi di generazione in generazione.