Nei ballottaggi ha vinto il centro-sinistra: da Alessandria a Cuneo, da Verona a Catanzaro; al primo turno delle amministrative era invece prevalso il centro-destra, da Genova a Palermo. Un pareggio che mette un’ipoteca sulle politiche della prossima primavera perché la permanente divisione interna ai due schieramenti potrebbe condurre, come nel 2013 e nel 2018, a un Parlamento senza maggioranza precostituita. È questo l’obiettivo dichiarato dei Centristi, da Calenda a Renzi al nuovo arrivato Di Maio, che pur divisi si propongono un nuovo Governo Draghi nella prossima legislatura.

Nove anni fa il segretario del Pd Bersani fu travolto dal “no” dei Grillini e dalla successiva guerra per la premiership tra Renzi e Letta, in questa legislatura la partenza è stata determinata dall’inattesa alleanza tra Grillini e Lega, con la nascita del Governo “sovranista” Conte-Salvini-Di Maio. Oggi il quadro politico è incerto soprattutto per il “terremoto” che ha colpito M5S e Lega, in crisi di elettori, con un’astensione record che ha sfiorato il 60%, un vero incubo per la democrazia rappresentativa.

La crisi dei Grillini, esplosa con l’uscita del ministro degli Esteri, non è stata attenuata dall’intervento del fondatore e garante Beppe Grillo: non ha aiutato Conte perché ha ribadito il limite dei due mandati parlamentari e ha rinnovato il sostegno al Governo Draghi, contro la tesi movimentista dell’uscita dal Governo (linea sostenuta dall’ala Di Battista e dal foglio “amico” di Marco Travaglio); un sondaggio del Sole-24 Ore attribuisce il 7-8% dell’elettorato al M5S e il 4-5 al nuovo partito di Di Maio. Un disastro politico.

Sull’altro fronte Salvini ha subito una netta sconfitta nelle roccaforti del Nord, da Alessandria a Monza, da Parma a Verona, mentre è fallita la linea della Lega “nazionale”, con percentuali modeste nel centro-sud. Il segretario leghista paga la scelta di “partito di lotta e di governo”, le simpatie per Putin, la concorrenza spietata della Meloni per la leadership del centro-destra. Inoltre nella Lega – come nei Grillini – è cresciuta la frattura tra “movimentisti” e istituzionali, tra chi ha proposto l’uscita dall’Euro e chi invece, come i Governatori, è saldamente ancorato alla linea governista e alle scelte compiute dal Paese sullo scenario europeo.

Per superare la crisi del centro-destra la Meloni ha proposto un incontro urgente a Berlusconi e Salvini: la riunione tarda perché il segretario della Lega e il leader degli Azzurri non hanno alcuna intenzione di ratificare la leadership di FdI, che si propone oggi come il primo partito della coalizione; inoltre ci sono grandi differenze programmatiche, dalla politica estera ai rapporti con il Governo Draghi. Appare evidente che Berlusconi e Salvini preferiscono a Palazzo Chigi l’ex presidente della BCE anziché la “pasionaria” della destra.

Nel centro-sinistra il segretario dem Letta, sponsor di Draghi, è soddisfatto del voto amministrativo e ha rilanciato l’Ulivo di Prodi; ma gli ostacoli sono numerosi, a cominciare dall’esplosione dei Grillini e dalla confermata indisponibilità dei Centristi ad alleanze politiche con il M5S. Per ragioni diverse le due coalizioni soffrono di una crisi profonda e di non facile soluzione, anche perché le elezioni politiche sono vicine: a marzo-aprile 2023.

Draghi ha scelto di sottrarsi alle difficoltà della politica italiana rafforzando il suo impegno di leader europeo, sia sfidando Putin a un dialogo di pace sulla guerra avviata in Ucraina, sia lavorando ai fianchi i governi tedesco e del Nord-Europa per stabilire finalmente un tetto al prezzo del gas, per attenuare la forte corsa dell’inflazione. Negli incontri dei leader occidentali è sembrato assumere – come ha scritto il settimanale tedesco Der Spiegel – un ruolo di guida, davanti al francese “dimezzato” Macron e all’incerto Cancelliere Scholtz.

In Parlamento, accanto all’attuazione del PNRR (fondi europei), il vero impegno sarà il varo in autunno della legge finanziaria, l’ultima prima del voto politico. Prevale l’orientamento – da Letta a Salvini, dalla Confindustria ai sindacati – di tagliare ampiamente il cuneo fiscale, a favore delle retribuzioni dei dipendenti, falcidiate dall’esplodere del caro-vita. L’Esecutivo è invece fermo nello stop ai bonus edilizi dell’era Conte: un’altra sconfitta per la leadership grillina, ormai ininfluente nelle scelte governative; in nessuna legislatura repubblicana era mai avvenuta un’eclisse così clamorosa del primo partito uscito dalle urne.