Elly Schlein come Enrico Letta: il “campo largo” sfuma nuovamente per l’impossibilità di coesistere delle sue componenti. Nelle politiche del 2022 i Centristi di Azione rifiutarono l’alleanza con Verdi e Sinistra e Letta ruppe con Conte per il “no” del M5S a Draghi; oggi i Pentastellati respingono l’intesa con Renzi, il “figliol prodigo” tornato nell’ovile del centro-sinistra; soprattutto contestano l’egemonia del PD sulla coalizione e la candidatura della stessa Schlein a Palazzo Chigi.
Prodi aveva recentemente previsto la fine del “campo largo”, proponendo il confronto sui programmi prima delle intese di vertice; in altra occasione aveva proposto un “federatore” per la coalizione; in realtà la vittoria dell’Ulivo su Berlusconi nel ’96 fu resa possibile dal “sacrificio” dei DS e dei Popolari che rinunciarono ad un candidato di partito ricorrendo ad un esterno prestigioso (il prof. Prodi, già presidente Iri).
La vittoria della Schlein alle primarie del PD ha cambiato il percorso, con uno schema di contrapposizione diretta Meloni-Schlein, con un ruolo minore delle altre forze politiche del centro-sinistra. Irrisolto il tema programmatico, con grandi divergenze sulla politica estera, sull’economia (Calenda ha accusato gli altri leader di subalternità sulla crisi del Gruppo Stellantis-Fiat), sulla giustizia (Renzi e Calenda hanno votato le nuove leggi del governo Meloni), sui diritti (uniti sul referendum sulla legge regionale Calderoli, divisi su quello radicale sulla cittadinanza, mentre in casa PD c’è sofferenza, come ha detto la Bindi, sulla linea Schlein sui temi etici).
Senza una “mediazione programmatica” seria, sarà difficile un accordo di governo per il 2027, mentre già si litiga sulle liste per le Regionali in Liguria, Umbria ed Emilia Romagna. Il Presidente del PD Bonaccini ha detto a Conte che non si possono accettare veti; le stesse parole pronunciate nel 2022 da Letta. Ma, senza l’intesa politica, dove va il centro-sinistra? La domanda riguarda anche i Pentastellati, perché la corsa solitaria favorisce oggettivamente la coalizione di governo, peraltro scossa da forti contrasti interni e chiamata a varare una legge finanziaria per il 2025 con scarsi margini di intervento.
Il destra-centro ha due preoccupazioni essenziali: Salvini e il referendum sull’autonomia regionale. Il leader del Carroccio teme un’eventuale condanna al processo in corso a Palermo sulla Open Arms, dopo la richiesta del Pm di sei anni di carcere per sequestro di persona; già nella Lega si sussurrano nuove ipotesi per la segreteria, con i Governatori del Friuli (Fedriga), del Veneto (Zaia) e il capogruppo alla Camera, il piemontese Molinari. Salvini si sta spostando sempre più a destra, con il recentissimo sostegno all’estrema destra austriaca, definita invece dal leader di Forza Italia, Tajani, filonazista.
Lo scontro tra i due vice-premier è senza precedenti e getta un’ombra internazionale sulla politica romana, rendendo sempre più difficile la mediazione della premier.
Altrettando profondo il divario tra i due vice-premier sulla legge Calderoli: il ministro degli Esteri ha respinto la richiesta di quattro Regioni, tra cui il Piemonte, di ottenere deleghe sulla gestione della politica estera, in particolare sul commercio; resta tutto fermo sino all’approvazione dei Lep (livelli essenziali di prestazione), nonostante le proteste dello stesso Calderoli, che vede la sua legge impantanata.
La Lega (ma anche la Meloni) teme il referendum, perché crescono le proteste anche al Nord (in prima fila il sindaco di Milano) contro l’ipotesi di un’Italia tagliata in due.
In un contesto diverso la Lega svolge come il M5S una linea del tutto autonoma; i venti di guerra che soffiano sul mondo sembrano escludere una crisi di governo, ma le due coalizioni appaiono piene di contraddizioni e conflitti, con un ruolo esorbitante dei personalismi.
In questo quadro il Parlamento stenta a svolgere una funzione centrale, invece mantiene alta la sua “moral suasion” il Presidente della Repubblica: mentre formazioni filo-naziste crescono in Germania e Austria, Mattarella, con il Presidente tedesco, ha ricordato da Marzabotto i crimini della dittatura nazi-fascista, esortando la democrazia a guardare avanti, rilanciando i valori della libertà e della dignità di tutte le persone. Un monito da accogliere.