La domanda se un ministro sia sopra la legge viene spontanea, di fronte alla dura difesa d’ufficio in favore di Salvini compiuta dalla Meloni e dall’intero governo per il processo in corso a Palermo. Il Pubblico Ministero ha chiesto sei anni di carcere per la grave vicenda della Open Arms, la nave spagnola trattenuta al largo delle coste siciliane per 19 giorni, nell’agosto del 2019, con a bordo 147 naufraghi, tra cui donne e bambini. Prima ancora che il dibattimento giunga a conclusione l’Esecutivo ne ha contestato le motivazioni, nonostante un voto del Senato contrario all’immunità per il leader leghista.

La posizione del Governo viola il principio della separazione dei poteri su cui si regge la democrazia costituzionale; solo nei regimi autoritari i giudici dipendono dal potere politico; nel merito: quanti giorni ancora i profughi sarebbero rimasti sequestrati in alto mare senza l’obbligo di sbarco deciso dalla Procura di Agrigento? Salvini afferma di aver difeso i confini d’Italia: ma quale minaccia potevano costituire 147 disperati, in fuga dalle guerre, dalla miseria, dallo sfruttamento? Inoltre il blocco navale va proclamato dal Parlamento, non da un singolo ministro, secondo i suoi fini politici. In alto mare c’erano persone, degne di rispetto e di attenzione, non di ulteriori umiliazioni.

Sul piano etico siamo molto lontani dal dovere cristiano e umano dell’accoglienza, da sempre predicato da Papa Francesco; ma anche sul piano economico crescono le voci autorevoli che invitano l’Italia ad accogliere i migranti, mentre continua a crescere la fuga dalle culle; tra le ultime prese di posizione quelle del Governatore della Banca d’Italia e la Federazione dei Cavalieri del Lavoro, voci non sospette di collusione con l’opposizione.

All’interno della maggioranza ha sorpreso la posizione di Forza Italia, dopo l’apertura della famiglia Berlusconi sui diritti. Tajani si è trovato in compagnia dell’ungherese Orban, che ha definito Salvini “un eroe”; ma già sullo ius scholae, dopo le proposte iniziali, c’è stato il voto contrario in Parlamento. In questo modo il centro berlusconiano asseconda la spinta a destra della Lega e di FdI, privilegiando la linea ministeriale.

Di fronte alle difficoltà del Governo (dal caso Salvini alle dimissioni del ministro Sangiuliano sino agli scontri sulla legge di bilancio), il fondatore dell’Ulivo, Romano Prodi, ha rimarcato l’assenza di un’alternativa, contestando il progetto di “campo largo” della Schlein, che deve partire dai programmi, non da accordi di vertice. In realtà pesa sul centro-sinistra la “guerra” nel M5S tra Conte e Grillo, vicina alle carte bollate, e l’inarrestabile crisi di Azione e Italia viva, con continue fughe da Calenda e Renzi.

Il “Corriere della Sera” a sua volta ha introdotto un nuovo motivo di riflessione sulla base degli ultimi sondaggi: il Pd sarebbe sceso dal 24% delle Europee al 21,6 (Pagnoncelli): come se l’onda di novità della Schlein si fosse esaurita; in realtà, con la nomina di Bonaccini a parlamentare europeo si è quasi spenta la voce della componente riformista, con una crescente egemonia della sinistra radicale che fa capo alla segreteria; sui temi etici la componente cattolico-democratica è quasi silenziosa, sui temi economici l’area post-comunista (pensiamo alla Fiom) chiede più attenzione alle grandi crisi industriali, a cominciare da Fiat-Stellantis.

La segreteria Schlein, nata da un accordo tra la linea movimentista e alcuni media, si è posta l’obiettivo di uno spostamento del Pd su posizioni di sinistra radicale, con un minor peso del riformismo di matrice cattolico-democratica e socialista; l’ostacolo permane il forte astensionismo (un cittadino su due non vota, il 58% tra i cattolici praticanti). Come ammonisce Prodi, la proposta politica non attrae il grande pubblico (50 milioni di elettori), anche se appare dominante per i talk-show (media di spettatori: 2 milioni).

L’astensionismo e le sue motivazioni meriterebbero maggiori attenzioni dai due Poli che sembrano invece privilegiare le operazioni di vertice, anche in vista delle prossime elezioni regionali in Liguria, Emilia-Romagna e Umbria; a Genova i renziani escono dalla Giunta comunale Bucci (centro-destra) per entrare nel centro-sinistra dell’ex ministro Orlando, in Umbria il centro-destra ricicla il contestatissimo sindaco di Terni. Ma non saranno i cambi di casacca a rafforzare la partecipazione al voto, che resta essenziale per la vita democratica.