Il gol dell’1 a 0 l’ho seguito in diretta radio guidando a buona velocità verso casa; della seconda rete non ho fatto nemmeno in tempo a rendermene conto: avevo spento il motore della macchina sul calcio d’inizio del secondo tempo ed ero entrato in casa. Pochi secondi, ma sempre di più dei 26 serviti agli elvetici per condannare l’Italia nell’ottavo di finale degli Europei 2024. Le emozioni vissute pochi giorni prima svanite ed anzi, capovolte in un vortice di rabbia e amarezza. E la stampa, a ragion veduta, subito giù a marciare.
La questione della debacle calcistica trascende per certi aspetti il mondo sportivo e assume i tratti di fenomeno sociale. Siamo di fronte a degli idoli disattesi? La caduta delle stelle, potremmo dire?
Nel suo significato originario, “idolo” deriva dal greco “eidolon”, che significa “immagine” o “simulacro”.
Nel caso sportivo quindi la proiezione realizzata dei sogni di successo infranti sul muro della realtà. Questo una volta era decisamente più marcato. Ricordo da piccolo i grandi idoli di mio fratello che a tutt’oggi non sono stati rimpiazzati: la posizione nel suo cuore rimane vacante. Lo stesso vale per me in altri ambiti: verrebbe da dire che l’idolatria si affievolisce con la maturità. O forse semplicemente muta la forma di idolatria, che diventa più fine e a tratti subdola. Matura anch’essa e non è un bene. Se un idolo così da piccolo ha un bilancio positivo, crescendo a volte neanche ti accorgi che esiste.
È curioso aprire il discorso dal lato religioso. Ho conosciuto a Roma don Fabio Rosini, famoso per le sue “Dieci Parole”. Alle centinaia di ragazzi che ogni anno con lui iniziano il percorso sui Comandamenti chiede se hanno fame, o se al contrario sono sazi dalla vita.
Alla naturale risposta segue la domanda sulla natura del cibo non saziante. Gli idoli. Quali? “I giovani di oggi – spiega don Rosini – sono devastati dall’immagine di sé, dalla ricerca del successo affettivo e sociale, di qualunque tipo di appagamento… Non solo il ‘look’, ma l’immagine di sé davanti a se stessi”. Me lo dice un 60enne e posso confermarlo personalmente io, da 21enne.
Dove c’è il vuoto compare un idolo. Da piccolo il vuoto era la consapevolezza di non poter giocare in Serie A, crescendo diventa più esistenziale e divora da dentro. Dunque a volte disattendere gli idoli può far bene, riporta gli occhi sul vuoto, stimola il desiderio sano di riempirlo e apre nuove vie. Una doccia fredda quindi, come quella della Nazionale di calcio, che sicuramente ci farà puntare più in alto.