Anni 80. La pediatria era stracolma di bambini in condizioni gravissime a causa del morbillo. L’epidemia aveva colpito nel distretto di Kitgum nel Nord dell’Uganda, dove si consumavano vere e proprie tragedie familiari: ogni giorno morivano 3-4 bambini. Capimmo la fondatezza del proverbio locale: “Conta i tuoi figli dopo il morbillo”. I bambini arrivavano alla nostra attenzione in condizioni spesso disperate, aggravate da malnutrizione e altre infezioni, come la malaria. La soluzione alla devastazione causata dal virus non poteva essere in ospedale. Esisteva un vaccino!

Nel 1974, cinquant’anni fa, l’Organizzazione Mondiale della Sanità lanciò un programma con l’obbiettivo di vaccinare entro il 1990 tutti i bambini contro le sei malattie killer: tubercolosi, difterite, tetano, pertosse, poliomielite e morbillo. Il successo, raggiunto nel 1977 con l’eradicazione del vaiolo grazie alla vaccinazione, motivava positivamente sia le popolazioni sia le autorità sanitarie e politiche. L’autorevole rivista medica Lancet stima che le vaccinazioni siano state il fattore più importante dell’aumentata sopravvivenza pediatrica registrata nell’ultimo cinquantennio. Le vaccinazioni hanno evitato 154 milioni di decessi, tra cui 146 milioni di bambini sotto i 5 anni.

Senza esitazioni si decise di rendere realtà il programma di vaccinazione di massa. In pochi anni nel distretto di Kitgum morbillo e tetano scomparvero. Nel 2000 una commissione UNICEF in visita al nostro ospedale incontrò del personale sanitario che non si ricordava quando avesse visto l’ultimo caso di morbillo!

Al nostro gruppo di cooperanti italiani, guidato da Ivone Rizzo, in un’area tra le più povere dell’Uganda e di tutta l’Africa Sub-sahariana, rimane la gratitudine per aver dato un piccolo contributo, assieme al generoso e valido personale locale, ad un grande risultato globale.

Il grande cardiochirurgo – e uomo di fede – Giancarlo Rastelli, che con le geniali tecniche operatorie che portano il suo nome ha permesso la sopravvivenza di tanti bambini affetti da gravi cardiopatie congenite, usava dire: “Ho sempre pensato che la prima carità che l’ammalato deve avere dal medico è la carità della scienza. È la carità di essere curato come va. Senza di questo è inutile parlare delle altre carità”.