(Fabrizio Dassano)

Giovedì 22 giugno, alle 21 verrà presentato in Santa Marta a Ivrea il monumentale (è proprio il caso di dirlo!) volume “Cento anni insieme 1923-2023” edito dalla Giovane Montagna sezione di Ivrea, per i tipi di Baima, Ronchetti & C. di Castellamonte. Oltre 400 le pagine che ripercorrono con passione il secolo di storia dell’associazione cattolica. Il lavoro si avvale della importante prefazione di Marco Cuaz, docente di Storia della Valle d’Aosta , di quella del vescovo Edoardo Cerrato e di molti collaboratori e curatori che hanno reso il volume una vera immersione, anche di immagini, in questo mondo associativo. Fondamentale la risorsa dell’archivio dell’associazione, di altre associazioni e di privati, perché come spiega l’attuale presidente Enzo Rognoni: “i valori della persona sono sempre stati al centro delle esperienze maturate; la solidarietà, la cordialità, l’amicizia e la disponibilità hanno costituito il filone portante dello stare insieme. E camminare in montagna, immersi nel silenzio e nell’armoniosità della creazione, aiuta a pensare, è momento privilegiato di rapporto con il Creatore che si scorge nella bellezza del creato che circonda.”

Ma cosa animò questa organizzazione? Nella sua tradizione la possibilità di garantire ai frequentatori di adempiere al precetto festivo. Nel 1927 Papa Pio XI, essendo lui stesso alpinista, aveva concesso di celebrare la S. Messa all’aperto nel caso che durante un’escursione non fosse possibile farlo in una chiesa o in una cappella. Era nata la tradizione della messa da campo.

Il papa, al secolo Achille Ratti, scalò diverse vette delle Alpi e fu il primo – il 31 luglio 1889 – a raggiungere la cima del Monte Rosa dalla parete orientale; conquistò, malgrado gravato del peso di un ragazzo che portava sulle spalle, il Gran Para-diso. Nel 1889 scalò il Monte Cervino, e a fine luglio 1890 il Monte Bianco, aprendo la via successivamente chiamata “Via Ratti – Grasselli”. Appena eletto papa, l’Alpine Club di Londra lo cooptò come proprio socio ma declinò per ragioni di protocollo. Don Ratti nel 1899 ebbe un colloquio con il famoso esploratore Luigi d’Aosta Duca degli Abruzzi per partecipare alla spedizione al Polo Nord ma non fu scelto per non metterlo a confronto con dei rudi marinai. Nel 1935, venendo meno al rigido protocollo dello Stato Vaticano, durante la cerimonia d’inaugurazione della Scuola centrale militare di alpinismo di Aosta, inviò un telegramma di felicitazioni. Nel secondo dopoguerra si consolidò la celebrazione della messa in suffragio dei caduti in montagna e dalla fine degli Anni ’50 del Novecento venne officiata alla cappella dei Tre Re a Monte Stella, combinata a volte con la benedizione degli attrezzi da montagna.

Il volume è diviso in parti riccamente illustrate: “I primi 80 anni” e una seconda con “I primi decenni del nuovo millennio 2003 – 2023”. I curatori sono stati Claretta Coda e Fulvio Vigna con la collaborazione di Paolo Fietta. Nell’appendice gli organigrammi centenari dell’associazione.

Il 29 marzo 1924 nel cinema scolastico di Ivrea don Dionisio Borra, futuro vescovo di Fossano, nato ad Albiano di Ivrea nel 1886, presidente della Giovane Montagna di Ivrea che si era costituita negli ultimi mesi del 1923, teneva una pubblica conferenza dal titolo: “L’alpinismo educatore” dove lo definiva “il più completo e organico degli sport” poiché in esso si esplicano non solo le attitudini fisiche, “ma anche quelle, ben più importanti dello spirito”. Nella relazione si leggeva inoltre che: “L’educazione moderna, tutta dolcezza e latte e miele pare si affanni a creare nel fanciullo l’illusione che la vita non sia dura cosa che è; pare si studi di cancellare dal vocabolario la parola sacrificio ed insegni l’arte di evitare anziché superare le difficoltà. Gli amari frutti di tale educazione li vediamo ogni giorno in tante giovinezze perdute.”

Il mondo cattolico era attratto dall’alpinismo educatore fin dal secondo Ottocento da don Giovanni Bosco e dai Giuseppini di don Murialdo, da Ferrante Aporti, da Antonio Stoppani e dai padri Barnabiti fino ai giovani dell’Azione Cattolica. Esplosa la corsa alla montagna, mentre le organizzazioni laiche nascevano e si moltiplicavano, il pericolo del “laicismo barbaro” calava tra gli amanti della montagna, liberi solo la domenica di raggiungere le loro mète, diede la spinta ai cattolici: Giuseppe Marchisone ne parlò al primo “Congresso della Gioventù italiana di Azione Cattolica” nel 1904. Dieci anni dopo nacque nei palazzi dell’Arcivescovado di Torino la “Giovane Mon-tagna” da dodici aderenti di “Coraggio Cattolico” un movimento nato nel 1878. Nel 1924 gli aderenti erano ormai settecento iscritti. Dal 1919 al 1933 si estese in diverse parti d’Italia: Ivrea fu la quarta in ordine di nascita insieme con le sezioni di Chieri e Novara. Poi valicò i confini piemontesi raggiungendo Napoli, Verona e Genova. Il primo obbiettivo era quello di “promuovere passeggiate alpine assicurando che nelle medesime, alla cura dello sport montano, non vada disgiunto e dimenticato l’adempimento del dovere di soddisfare il precetto festivo dell’assistenza alla Santa Messa”.

I primi soci eporediesi furono 21 tra cui i religiosi don Luigi Lupano, parroco di San Salvatore, don Giovanni Comoglio di Azeglio, il barone Egon Beck Peccoz che metteva a disposizione la propria villa-castello di Gressoney Saint Jean ai “Giovani Montagnini” e la cui moglie, la baronessa Ida divenne prima madrina del sodalizio. Non soltanto giorni di festa, di cammino e di preghiera, ma anche tragedie funestarono la vita dell’associazione, sgomentando l’intera città e la comunità di alpinisti anche in Francia come quella dell’11 agosto 1949 quando sul Monte Bianco, attraverso al via della “Sentinella Rossa di destra”, trovarono la morte Emilio Parato (Lio) di 40 anni, con Emilio Riva (Milio) di 42 anni, Giovanni Orengia (Giò) e Francesco Lama (Cecco) di 25 anni. Un’improvvisa tormenta li aveva colti già sulla via del ritorno. Vennero recuperati tre corpi ma non quello di Emilio Riva che riposa ancora oggi tra i ghiacci eterni del Monte Bianco.

Il nostro Risveglio Popolare del 25 agosto 1949 pubblicava l’analisi della tragedia di due membri del CAI di Ivrea, l’ingegner Maritano e il geometra Giva: i quattro erano stati visti lottare contro il vento ad un centinaio di metri appena dalla vetta, i sacchi a pelo erano stati usati per un estremo tentativo di resistere alla temperature polari ma poi riposti negli zaini per la discesa. Ma il peggio sarebbe arrivato dopo, alle 17, quando la tempesta si scatenò con enorme violenza. Non rimarrà certa la causa della morte se per assideramento o per folgorazione dell’intera cordata.

Un volume ricchissimo che dalla storia delle origini ripercorre con grande completezza la storia di un’associazione cittadina che è ancora tutta proiettata verso il futuro. Un volume di piacevole lettura che fa sprofondare il lettore in un mondo che c’è ancora ed è vivo nella nostra città che oltre alle uscite alpinistiche e sci alpinistiche, si occupa di escursioni per famiglie, viaggi e trekking.