Dovendo aspettare con la gran calura l’apertura pomeridiana di un negozio per riparare il mio telefono, mi sono soffermato all’ombra, ristorato da una brezza leggera su un angolo di Piazza della Repub-blica ad ammirare la grandiosa facciata di quell’imponente tempio gotico che i Chivassesi chiamano “il Duomo”, trattandosi sostanzialmente della principale chiesa della città che ha la qualifica di “insigne collegiata”.

Il titolo fu concesso dal vescovo d’Ivrea monsignor Luigi Bettazzi nel 1996 quale antica ed illustre sede di un capitolo di canonici. Fu costruita a partire dal 1415 anche se fu fin dall’inizio una sorta di Duomo dalla eccezionale e ricchissima facciata ornata, dedicata a Santa Maria Assunta – o, per rispettare la più antica intitolazione, dei Santi Maria e Pietro. Infatti la costruzione fu voluta dal potente marchese di Monferrato, Teodoro II Paleologo (1364 – 1418), che a Chivasso aveva la principale sede della propria corte.

A duecento passi sorgeva l’ingresso del castello marchionale, oggi solo più una potente torre duecentesca in pietra, dove mercati e pubbliche cerimonie avevano trovato il palcoscenico ideale. Il successore di Teodoro II, Gian Giacomo che governò il Monferrato dal 1418 al 1445, si trovò in difficoltà economiche per le spese della sua guerra contro il duca di Milano. Così alla mancanza del privato subentrò la Credenza cittadina e i danari della nobile famiglia degli Isola. Benché incompiuto, fu consacrato nel 1429 dal vescovo d’Ivrea Giacomo de Pomariis. Ancora oggi, la facciata è adorna di notevolissimi fregi e figure in cotto, databili forse al 1450-60 circa. L’impianto complessivo delle forme in terracotta dava al Cavallari Murat (Tra Serra di Ivrea, Orco e Po, 1976) l’idea di un “paramento tessuto come le stoffe: le folle dei santi in terracotta muniti ognuno d’individuali peducci e baldacchini, s’erano schierati in parallelo e in serie, tra i continui cordoni a torciglioni. E ‘galloni’ intessuti d’altri elementi laterizi si piegavano verso la mezzaria della facciata, come a formare una doppia ghimberga immorsante un grande rosone tondo per la navata centrale”.

Un complesso di terrecotte che è considerato tra le principali espressioni dell’arte tardogotica in Piemonte malgrado vari interventi di restauro nel corso dei secoli per la deperibilità del materiale argilloso. Le terrecotte della facciata sono racchiuse in una monumentale forma a cuspide detta “ghimberga”, che ascende fino al colmo del tetto sottolineando la maestà del portale: è evidente infatti, in questa figurazione, la simbologia dell’ingresso della chiesa come “porta del Cielo”, passaggio dalla dimensione terrena alla dimensione dell’eternità e della gloria.

La grande cuspide è simbolicamente sorretta da ventiquattro figure ordinate in quattro sequenze verticali ed inserite – dodici a destra e dodici a sinistra – fra esuberanti baldacchini e peducci; i personaggi delle due file esterne recano il capo coperto da berrettoni o da corone, mentre quelli delle due file interne hanno la testa scoperta e circondata da aureola: i primi – secondo le consuetudini dell’iconografia medievale – sono identificabili in profeti che hanno annunciato l’Incarna-zione, e simboleggiano l’Antico Testamento; nei secondi, invece, sono riconoscibili i dodici Apostoli, che hanno diffuso il Vangelo del Cristo. Anche il numero ricorrente dodici ha – com’è naturale – un preciso significato allegorico, perché dodici sono le tribù d’Israele, il “popolo eletto”.

Al culmine della grande ghimberga, fra altre teste di personaggi coperte da berrettone, compare un angelo che reca fra le braccia un tondo raggiato con al centro il monogramma del Nome di Gesù. Al di sotto dell’angelo si apre il magnifico rosone, nel quale si ripetono teste barbate e altri motivi ornamentali. Subito al di sotto del rosone, vi è una ghimberga più piccola, decorata con figurine di angeli e putti ottenute a stampo: nel culmine di questa cuspide si libra la figura del Redentore.

Al di sotto della ghimberga inferiore, infine, si apre il portale, nella cui lunetta è raffigurata una bellissima Vergine col Bambino, e intorno al quale si dispongono altre figure modellate di santi, fra le quali si riconoscono Giacomo il Maggiore – con il bastone da pellegrino –, Giovanni Battista – con l’abito di pelli di cammello e la croce –, Pietro – con il libro e la spada –. Completano la figurazione, ai lati del Redentore, le immagini dell’Arcangelo Gabriele e della Madonna Annunciata.

Anche il campanile si eleva poderoso in mattoni, eretto nella seconda metà del Quattrocento sacrificando una cappella della chiesa. In origine culminava in un’alta guglia ottagonale costituita da una struttura in legno e ricoperta di lucenti lamine di latta; tale cuspide, che era sormontata da un gallo di bronzo dorato, era circondata sui quattro angoli della torre da quattro pinnacoli minori e da una ringhiera sui quattro lati: era motivo di grande orgoglio da parte della cittadinanza, che più volte dovette provvedere a restauri in seguito ai danni causati dalle intemperie. Nel 1705, durante l’assedio portato dalle truppe francesi, la parte superiore del campanile venne distrutta dalle cannonate nemiche.

Da allora la guglia non venne più ricostruita, ma venne sostituita pochi anni dopo dalla tozza cella campanaria che tuttora esiste. Fu proprio per questo particolare architettonico, la cuspide metallica, che ai Chivassesi rimase tuttavia il soprannome dialettale di “facia ‘d tòla” – “faccia di latta” (sito ufficiale del Comune di Chivasso).