Quelle della città eterna furono le olimpiadi di Livio Berruti, di Abebe Bikila, e di Cassius Clay. Ma i giochi olimpici di Roma 1960 vanno ricordati perché proprio a Roma si svolsero le prime Olimpiadi “Parallele”, dal 1980 conosciute come Giochi Paralimpici e allora chiamate Giochi internazionali per paraplegici.
La storia la fanno le persone e le grandi storie le fanno le persone geniali e generose.
Il dottor Ludwig Guttmann, ebreo originario della Slesia, neurologo di fama mondiale, nel 1944 dovette fuggire dalla Germania. Aveva tre grandi passioni: la medicina, lo sport e l’amore per Elsa, compagna della sua bella e avventurosa vita. In Gran Bretagna gli venne affidata la direzione della clinica Stoke Mandeville, vicino a Londra, per i feriti di guerra con lesioni spinali e tetraplegici.
“Abbiamo già troppi storpi qui”: quelle giovanissime vittime della guerra meritavano di più. “Dimezzò i sedativi e ordinò di tenerli seduti, mai sdraiati. Convinto che lo sport fosse un potente strumento di riabilitazione fisica e psichica, si inventò la partita di polo tra i suoi ragazzi sulle sedie a rotelle. Nel 1948, in concomitanza con le Olimpiadi di Londra, organizzò i “Giochi di Stoke Mandeville”: un unico sport (il tiro con l’arco) e soltanto 16 partecipanti. Non si fermò.
Il medico italiano Antonio Maglio, dopo aver visto la penosa sorte di decine di ragazzi resi paraplegici da infortuni sul lavoro, venne affascinato dalla sport-terapia di Guttmann. Nel 1957 aprì il Centro INAIL per Paraplegici di Ostia “Villa Marina”, che rapidamente divenne un laboratorio di nuovi modelli di riabilitazione. Poi si realizzò il suo sogno.
Il 18 settembre 1960, due settimane dopo la fine dei Giochi Olimpici, a Roma nello stadio dell’Acqua Acetosa, cinquemila spettatori applaudono 400 atleti in carrozzina provenienti da oltre 21 Paesi di tutti i cinque continenti. In questi giorni a Parigi gareggiano 4.400 atleti speciali da 185 paesi.
Maglio aveva perso un figlio per meningite a soli sei anni: Ora poteva essere padre per quei giovani feriti nel corpo e nell’anima. Li voleva felici.
“La vita non mi ha risparmiato nulla. Da judoka sordocieca dico che la vita va vissuta, non combattuta… La voglia di vivere mi ha regalato una seconda giovinezza” (Matilde Lauria)