(Francesco Mosetto)

Il sesto successore di mons. Luigi Moreno, vescovo di Ivrea, dedica un intero capitolo ai suoi rapporti con Don Bosco (Luigi Bettazzi, Obbediente in Ivrea. Mons. Luigi Moreno vescovo dal 1838 al 1878, pp. 157-201). Dopo aver rievocato la vicenda della proprietà delle “Letture cattoliche”, mons. Bettazzi accenna agli inizi della presenza salesiana a San Benigno Canavese. L’antica abbazia di Frutturaria, ricostruita dal cardinale delle Lanze e confiscata da Napoleone, era stata smembrata. La chiesa abbaziale fu assegnata alla diocesi di Ivrea, mentre il palazzo abbaziale diventò proprietà del demanio, il quale a sua volta lo cedette al comune di San Benigno “in commodato”.

Nel 1852 i padri Dottrinari vi avevano aperto un collegio, affiancato da una scuola affidata a un prete diocesano. Cessati l’uno e l’altra, “il parroco del luogo, il teologo Benone (una piccola sfumatura di umorismo, forse, aveva portato il teologo Benone a parroco di S. Benigno, bagnato dal torrente Malone!” (p. 197) prese l’iniziativa di invitare Don Bosco a farne un suo collegio. Monsignor Moreno preferì tenere per sé l’edificio e lo fece riparare a proprie spese. Ma con il suo successore, monsignor Davide Riccardi, la proposta del parroco fu accolta e il palazzo abbaziale fu affidato “in subcessione” a Don Bosco, che “con tale fondazione ricondusse la vita religiosa in una storica abbazia dei monaci Benedettini” (Eugenio Ceria, Annali della Società Salesiana dalle origini alla morte di S. Giovanni Bosco, p. 333).

Di fatto, Don Bosco vi trasferì anzitutto il noviziato, che all’Oratorio di Valdocco stava ormai allo stretto, era il 1879. Insieme però diede l’avvio a scuole diurne per i ragazzi e scuole serali per gli adulti del paese, alla scuola professionale e all’oratorio festivo. Tra i primi novizi, ben 51, c’erano Filippo Rinaldi, che sarà il terzo successore di Don Bosco, e Michele Unia, poi missionario e apostolo dei lebbrosi in Colombia. Don Bosco ebbe una particolare affezione per San Benigno, dove si recava anche più volte all’anno, specialmente in occasione degli esercizi spirituali. Don Bosco viaggiava in ferrovia: sulla linea di Milano da Porta Susa a Settimo Torinese, di dove proseguiva con la prima ferrovia canavesana, trainata da cavalli (ippoferrovia!). Nella cameretta al secondo piano, tuttora custodita con venerazione, ebbe tre dei suoi famosi “sogni”: nel primo vide un misterioso convito, i cui commensali erano i suoi giovani; nel secondo gli si presentò un personaggio sul cui abito splendevano “dieci diamanti”, immagine delle virtù del salesiano; nel terzo vide l’avvenire delle missioni salesiane nell’America del Sud. Un altro evento significativo fu la conferenza nella quale delineò la sua idea del salesiano Coadiutore. Don Bosco venne a San Benigno l’ultima volta il 20 ottobre 1887, tre mesi prima della morte: voleva ringraziare personalmente l’anziano parroco Don Benone.

A San Benigno si affermeranno soprattutto le scuole professionali: sarti e calzolai, fabbri e meccanici, falegnami ed ebanisti, tipografi e legatori. Ne uscirono centinaia di artigiani e operai, stimati in tutto il territorio per la loro professionalità. Dalla tipografia di San Benigno uscirono i primi volumi delle Memorie Biografiche di Don Bosco, annate delle “Letture Cattoliche”, una Biblioteca Ascetica, un Catechismo illustrato, vite di santi, libri scolastici, opere di autori salesiani (Giulio Barberis, Giovanni B. Francesia e altri), libretti teatrali, ecc. Oltre ai laboratori, San Benigno ebbe una Colonia agricola, situata in un cascinale oltre il torrente Malone, la cui centrale elettrica serviva le case del paese. Con il tempo, alcuni laboratori furono trasferiti al nuovo istituto del Colle Don Bosco, altri cessarono, mentre nascevano nuove specializzazioni: elettricisti e termoidraulici. Più di recente sono stati introdotti i corsi di informatica, ristorazione (cucina, pasticceria, arte bianca e sala), acconciatura.

Oggi le Scuole professionali salesiane di San Benigno sono frequentate da 500 ragazzi e ragazze, provenienti da tutto il Canavese e anche da più lontano. Insieme ai Salesiani vi operano una cinquantina di formatori. L’offerta formativa, sostenuta dalla Regione Piemonte, è rivolta anche a persone adulte che vogliono qualificarsi in diversi settori: dall’informatica alla manutenzione di aree verdi, al montaggio meccanico, alla saldatura, alle tecniche di cucina, alle tecnologie CAD, ecc. Accanto alle Scuole professionali è attiva la Scuola secondaria di I grado paritaria, frequentata da 250 ragazzi e ragazze del paese e dei dintorni. L’Oratorio, che risale agli inizi dell’opera salesiana, è tuttora vitale e collabora con la parrocchia. Don Bosco cammina coi tempi, sempre vicino ai giovani e ai ceti popolari.

Dopo mons. Riccardi, promosso alla cattedra episcopale di Torino, divenne vescovo di Ivrea mons. Agostino Richelmy, figlio di Lydia Realis, che donò al successore di Don Bosco la sua villa nei pressi della chiesetta di Sant’Antonio (cfr. Il Risveglio Popolare, 30 nov. 2023). Al vescovo Richelmy si deve la presenza dei Salesiani a Piova, nel territorio di Cintano, Valle Sacra. Il santuario fu il soggiorno estivo dei giovani salesiani dal 1889 al 1939, quando ritornò alla curia eporediese.

Pochi anni prima Don Bosco aveva acquistato a Foglizzo il palazzo dei conti Ceresa di Bonvillaret allo scopo di trasferirvi i novizi. Nel 1904 al noviziato subentrò lo studentato teologico internazionale, che dopo l’interruzione della prima guerra mondiale, venne traferito a Torino nel quartiere Cro-cetta. La casa di Foglizzo fu allora destinata ai chierici studenti di Filosofia, oggi si direbbe post-novizi. Nel 1939 ebbe inizio una nuova presenza salesiana: l’antico castello di Bollengo, già proprietà di Costantino Nigra, poi sede di una scuola cattolica dei Gesuiti francesi, quindi del noviziato dei Gesuiti spagnoli, fu acquistato dai salesiani per collocarvi uno studentato teologico. Questo emigrerà nel 1967 a Torino Crocetta, prendendo il posto dell’Ate-neo Salesiano trasferitosi a Roma.

Ma la presenza più incisiva per la città di Ivrea fu l’Oratorio cittadino, intitolato a San Giuseppe, animato dai salesiani dell’Istituto dal 1910 al 1928, quando passò al clero della diocesi. Vi fiorirono l’Azione Cattolica e gli Scout, la musica e lo sport, la filodrammatica e la scuola serale per adulti. Ne ricostruisce la vicenda Federico Perinetti, Personaggi egregi di Ivrea e del Canavese, pp. 273-282.